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Martedì 1 aprile 2025

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Il finale è aperto: capiranno?

La parabola del figliol prodigo e l'immaturità religiosa dei farisei

Cuneo

La Guida - Il finale è aperto: capiranno?
Giovanni Chiaramonte, Labirinto, Milano

Giovanni Chiaramonte, Labirinto, Milano

Gs 5,9a.10-12; Sal 33; 2Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32

[1964]

La sera del ritorno del figliol prodigo tutti erano stanchi, per le emozioni e il cibo. A tavola fino a tardi, mangiando i resti del pranzo meridiano, con qualche aggiunta paesana e un vino più calmo, che aveva acceso i discorsi. Solo il figliol prodigo taceva – alla destra del padre con le dita appena nervose arrotolava palline di pane, ogni tanto volgendosi ai commensali con un sorriso di bontà umiliata. Era già notte avanzata quando andarono a coricarsi e per qualche momento la corte risonò dei saluti degli invitati che se ne andavano nel buio verso le loro case.
Il figliol prodigo trovò lenzuola fresche di lavanda, il materasso rifatto e vi affondò in un sonno pieno di rimorsi placati.
Alle otto del mattino ancora dormiva e già la casa era in faccende.
«S’è levato? No? Lasciatelo ancora dormire, è stanco» – disse il padre.
Nessuno gli rispose e quando alle dieci si sentì la voce del figliol prodigo che chiamava dalla stanza: «La colazione», una giovane sguattera mormorò ma non tanto da non essere udita nel tinello: «Ci risiamo».
Il padre uscì verso la corte.

Così Ennio Flaiano, in Diario degli errori, immaginava il ritorno del figliol prodigo nella casa paterna.
Osservatore fine e ironico, al tempo stesso acre e tragico, lo scrittore pescarese, romano d’adozione, in questa folgorante fotografia dà voce ad una domanda che è lecito farsi: il figlio che ritorna, si sarà poi davvero convertito? L’infinita misericordia che il padre gli ha rivelato avrà cambiato la sua vita?
Il finale aperto di questa parabola, come di molte altre, suscitano la creatività dell’uditore chiamato a vivere di questa nuova immagine di Dio nella propria quotidianità. Del resto, anche noi che questa parabola l’abbiamo ascoltata più volte, siamo cambiati, ci siamo convertiti?
Il finale aperto – non definitivamente confluito in un lieto fine – complica un po’ la questione per gli uditori di ieri e di oggi portati sempre a semplificare i pensieri su Dio e sull’uomo, e forza al pensiero gli interlocutori che non hanno intenzione di confrontarsi con il pensiero di Gesù.
L’abilità narrativa di Luca che mette in pagina l’inventiva del Maestro, porta in scena una trama che all’inizio ha la funzione di porre in trappola quei farisei che sono pieni di pregiudizi verso il comportamento di Gesù.
Come non vedere in quel ragazzo il cliché edificante della «gioventù bruciata» che merita la discesa agli inferi? Il rigorismo dei farisei appare gratificato. L’ordine vince sulla trasgressione. Possiamo immaginare i loro volti, compiaciuti nel racconto di questo ragazzo che la ribellione porta a toccare il fondo. Pregustano già la giusta resa dei conti che il finale sembra loro presagire.
Ma è ancora più interessante immaginare i loro volti non appena la storia contraddice quelle aspettative, virando verso la scena di una inconcepibile riconciliazione in cui uno scappato di casa viene riaccolto nella sua integrità di figlio (con le emozioni, il banchetto, il saluto degli invitati e la pazienza del padre tratteggiati da Flaiano).
E come se non bastasse, la trama fa entrare in scena il figlio più grande.
A questo punto gli uditori avranno decifrato fin troppo bene che quel secondo figlio raccontava di loro, era il ritratto di un’immaturità religiosa che si maschera di adempienza dei precetti, di un rigorismo privo di vera autonomia spirituale, ancora più incapace del ribelle/peccatore di onorare la libertà che si addice a un figlio. Viene smascherata, con un racconto, quella religione che trasforma gli adempimenti dei precetti in un idolo. Viene tradita la loro scarsa familiarità col Dio che fa piovere indistintamente sui buoni e sui cattivi. Nemmeno loro alla fine sono troppo di casa tra le mura di quella casa che pretendono di difendere con tanta acidità.
Nello specchio di questa caricatura i farisei vi hanno visto loro stessi.
E che la storia sia raccontata proprio per loro, si capisce perché in essa c’è lo spazio anche del loro ritorno.
Ma anche qui, il finale però resta in sospeso.
L’ostacolo maggiore per il lavoro della grazia non viene quasi mai dalla distanza del lontano, ma dal rancore dell’appartenente.

Il finale è aperto: capiranno?

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