
(foto Pixabay)
Ci sono tempi che possono sembrare più adatti a nutrire quella speranza senza la quale la nostra sopravvivenza non è vita. Già, ma non il nostro, ci verrebbe da dire: guerre insensate e senza soluzione, trasformazioni del clima, una società, la nostra, che sembra sempre più spaventata di perdere ciò che ha, più che tesa verso il futuro. E, nel suo piccolo, una Chiesa che troppo spesso sembra incapace di donare una voce di speranza, nonostante il tema del Giubileo.
Eppure la Bibbia è tutt’altro che avara nel nutrire e motivare la speranza. Non si tratta semplicemente della promessa di una vita eterna che, da sola, sarebbe ancora poco. È piuttosto un’interpretazione globale della vita che si estende fino al dopo morte.
Non concentriamoci, stavolta, sulla vicenda di Gesù, che pure è limpida e luminosa. Pensiamo piuttosto a uno degli eventi su cui la vicenda della morte e risurrezione di Gesù si innesta, quella Pasqua che è centrale anche per il mondo ebraico e che serve da chiave di comprensione di tanti altri passaggi del Primo Testamento.
Lo sfondo della Pasqua è una minaccia mortale. È la persecuzione ai danni del popolo ebraico da parte del faraone, è il passaggio sterminatore del Signore che esige la vita dei primogeniti, è l’inseguimento del faraone con il suo esercito, fino alle rive del mare. Questo, poi, non è semplicemente un ostacolo che impedisce la fuga. Per il mondo semita il mare era il luogo del caos, del disordine, della morte. Alle spalle un esercito assetato di vendetta, davanti la morte.
È in quel mare che il Signore chiama il popolo ad entrare. All’asciutto, è vero, ma con un muro d’acqua a sinistra e a destra. E, davanti, la sua voce che chiama a passare oltre, a non fuggire di fronte a ciò che si teme, ma ad entrarvi, ad attraversarlo, a confidare che la libertà e la vita sono oltre.
È la stessa dinamica della croce di Gesù, dove la morte non può essere evitata ma superata, dove la vita c’è, ma oltre, non nonostante il male. Non è l’approccio superficiale del “vedrai che passa”, ma è la consapevolezza che il male esiste, va affrontato, va vissuto, attraversato. Insieme alla promessa che non sarà l’ultima parola, che al di là di esso c’è vita e libertà. La speranza cristiana non dovrebbe negare la fatica e la sofferenza, ma invita a credere a una promessa ulteriore.
Per riprendere le parole di Paolo de Benedetti: «Il senso dell’esodo è che la vita c’è, ed è avanti. Questo non significa che la storia abbia un senso, probabilmente non ce l’ha. Ma, è il paradosso del credente, le verrà dato».