La sua azienda stava attraversando un momento di difficoltà e lui aveva chiesto aiuto al commercialista con il quale aveva un rapporto personale e di affari da molti anni. E proprio in virtù di questa amicizia e della stima reciproca, tra il gennaio e il giugno del 2019 il commercialista prestò 37mila euro all’imprenditore pretendendo una garanzia in cambio. Fu così che M.C. staccò tre assegni a copertura della cifra ottenuta che però risultarono scoperti. Da qui la denuncia per truffa che ha visto l’imprenditore cuneese rinviato a giudizio al tribunale di Cuneo. L’imputato aveva anche post datato gli assegni chiedendo al commercialista la cortesia di non incassarli prima di una certa data, viste le sue difficoltà economiche. Nonostante l’attesa per rientrare in possesso della cifra prestata, al momento dell’incasso arrivò l’amara sorpresa e la constatazione di aver perso quei soldi. Per l’accusa l’imprenditore aveva messo in atto quegli artifizi e raggiri che connotano il reato di truffa, “la parte offesa – aveva concluso in aula il pubblico ministero Luigi Dentis – ci ha spiegato che senza quella garanzia non avrebbe prestato i soldi all’imprenditore il quale, da parte sua, ha messo in atto una serie di azioni tali da incidere negativamente sulla rappresentazione che il commercialista si era fatto della situazione”. La richiesta conclusiva della pena era stata di 1 anno 6 mesi e 1000 euro di multa. Richiesta cui si era associata la parte civile con l’avvocato Denina la quale aveva sottolineato come l’imputato aveva sempre assicurato il commercialista sul fatto che in futuro quelle somme sarebbero state coperte e fruibili, “ed è questo l’atteggiamento cui fa riferimento la giurisprudenza quando parla di induzione in errore”, aveva concluso l’avvocato chiedendo il risarcimento completo della somma prestata. Per l’avvocato Testino difensore dell’imputato, quegli assegni però non vennero incassati non perchè non coperti, ma perchè posti all’incasso oltre i termini stabiliti dalla legge, “la truffa si configura quando l’incasso non è possibile, ma in questo caso il primo assegno non venne neanche posto all’incasso mentre gli altri due vennero portati in banca fuori termine”. Per la difesa nessuna delle difficoltà riferite dall’imputato era falsa, i problemi familiari che avevano avuto un impatto negativo sulla realtà dell’azienda erano reali e conosciuti dal commercialista, e quindi non ci fu alcuna preordinazione o progetto di truffa e per questo aveva chiesto l’assoluzione del proprio assistito. Una ricostruzione diversa da quella della giudice che invece accolto la richiesta del pubblico ministero condannando l’uomo ad 1 anno e 2 mesi di reclusione con una provvisionale risarcitoria di 32mila euro.
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