Ml 3,1-4; Sal 23 (24); Eb 2,14-18; Lc 2,22-40
Simeone, «uomo giusto e pio», tiene gli occhi aperti, spalancati, di giorno e di notte, perché resta fermo nelle promesse di Dio, e, nelle fede, sa che l’Altissimo non può deludere. «Sazio di giorni», il vecchio Simeone non vedeva l’ora di trovarlo, il Messia, e quella sua vita spesa bene, per questo compiuta, non poteva che attendere un ulteriore compimento.
E chissà come se l’era immaginato quel Messia, se aveva pensato ad un Bambino da stringere tra le braccia, un pargolo che per tutti gli altri non era altro che un bambino, ma che per occhi che desiderano vedere diventa il volto di Dio.
Come l’avrà tenuto tra le braccia il vecchio Simeone quel Bambino? Fabrizio de Andrè cantava che «I vecchi quando accarezzano hanno il timore di far troppo forte»: può essere, allora, che le mani del vecchio Simeone avranno appena sfiorato quel bambino.
Due anziani, Simeone e Anna, che sono i portatori del Nuovo che fa irruzione nella storia: hanno visto la «salvezza preparata per tutti», pronta per ognuno. È necessario, però, saperla vedere, aprire gli occhi: «Ecco io faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,18-19).
Un incontro bello, che dà serenità, tant’è che «ora il servo di Dio può andarsene in pace».
Ma quest’incontro rivela anche il mistero del dolore che si manifesta ogni volta che l’amore viene contraddetto. Simeone, tenendo tra le braccia quel bambino, parla anche di «segno di contraddizione»: Gesù si porrà come messa in crisi di pensieri e vissuti, religiosi e non.
L’ammonimento di Simeone a Maria raggiunge chiunque voglia restare sensibile alla vita: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima». Chi vuol fare esperienza dell’amore non sarà esentato dall’esperienza del dolore. Scegliere di amare è scegliere di rendersi vulnerabili, fragili, feribili.
Per stare sotto la croce di Gesù senza disperare, senza bestemmiare, senza scagliarsi contro i carnefici, sua madre avrà avuto bisogno di meditare per lunghi anni le parole di Simeone, parole che ci insegnano che il dolore non è la contraddizione dell’amore, ma l’esperienza che si fa quando l’amore è contraddetto. Il dolore non nega l’amore, ma è l’amore negato a generare dolore.
Simeone vide Gesù infante, e gli bastò. Si può imparare da lui a gustare la salvezza nel suo inizio, senza pretendere di vederla compiuta. La presenza viva del Signore nella sua Parola ci può bastare per vivere e per morire, nella pace e nella benedizione, nonostante le contraddizioni che s’incontrano.