Si erano innamorati giovanissimi e si erano sposati quasi subito, dalla loro relazione erano nate due figlie con le quali si trasferirono in Piemonte a metà degli anni Novanta, nel monregalese. Qui i percorsi personali dei due coniugi seguirono però rotte diametralmente opposte; mentre lei intraprese un percorso di formazione che la portò a conseguire il diploma da infermiera con mansioni anche di responsabilità a seguito di ulteriori specializzazioni, lui aveva iniziato a bere sempre di più mal sopportando il percorso della moglie. Un’evoluzione che, aveva raccontato la donna al giudice, aveva portato vantaggi economici anche alla famiglia ma che il marito aveva sempre osteggiato, iniziando a maltrattare la moglie vessandola, insultandola e minacciandola: “Beveva sempre di più e per due settimane sparì lasciandomi senza soldi”. Quando tornò l’uomo intraprese un percorso al centro di salute mentale ma le cose andarono sempre peggio e iniziarono le violenze fisiche. Una volta la scaraventò a terra davanti alla madre di lei; un’altra volta, davanti alle figlie, la spinse contro un fornello su cui bolliva una pentola d’acqua ustionandola. “Mi accusava di volerlo comandare perché avevo studiato”, aveva raccontato la donna al giudice. Divenne geloso di chiunque: la donna non poteva neanche prendere un caffè o partecipare alle cene con i colleghi del reparto perché non glielo permetteva o le telefonava continuamente; una volta le tolse il telefono sospettando un tradimento. I segni delle botte e lo stato d’animo della donna erano ben visibili alle colleghe che più volte la invitarono a denunciare ma lei si era sempre rifiutata, terrorizzata dalla minaccia che lui le aveva fatto di ammazzarla per poi suicidarsi. Di fronte a quello che però accadde ai primi di giugno 2022 la donna decise di allontanarsi dalla casa per trovare rifugio in una casa di accoglienza per vittime di violenza domestica. L’uomo ubriaco l’aveva infatti sbattuta contro il tavolo della cucina dove la teneva immobilizzata chiudendole bocca e naso con la mano arrivando quasi a soffocarla: “Mi disse che stavolta mi avrebbe ammazzata ma riuscii a liberarmi e a scappare”. Con una prognosi di 10 giorni la donna trovò accoglienza in una casa protetta insieme alla figlia più piccola che viveva con loro e tornò nella propria abitazione solo dopo il provvedimento di allontanamento dell’uomo. Non si interruppero però le minacce da parte dell’ex, confermate anche dalla figlia maggiore che ascoltata nel corso dell’ultima udienza ha anche raccontato che quando erano rientrate nell’appartamento dopo l’allontanamento del padre, avevano trovato uno scatolone in casa con dentro una pistola, una mannaia e un coltello. Il processo proseguirà il 24 febbraio con gli altri testimoni di accusa e difesa.