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Domenica 29 dicembre 2024

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Per sperare è necessario aver ricevuto una grande grazia

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

Cuneo

La Guida - Per sperare è necessario aver ricevuto una grande grazia

I Sam 1, 20-22.24-28; Sal 83; 1 Gv 3, 1-2.21-24; Lc 2, 41-52

La festa della Santa Famiglia di quest’anno ha una particolare caratteristica: apre l’anno giubilare nelle singole Chiese locali, che sono chiamate a riunirsi, come un’unica famiglia, attorno ai loro pastori per vivere l’evento di grazia del Giubileo.

La tradizione iconografica cristiana ha usato sempre come simbolo della speranza, l’àncora. È un’immagine contenuta nella lettera agli Ebrei, che dice: «In essa (nella speranza) infatti abbiamo come un’àncora sicura e salda per la nostra vita; essa entra fin di là del velo del santuario, dove Gesù è entrato» (Eb 6, 19-20). Un’immagine, l’àncora, per dire che la speranza non elimina le tempeste, ma stabilisce un punto fermo, che non cede. Nonostante si possa essere sballottati dalle onde della vita, non siamo portati via.

A partire da quest’immagine, potremmo domandarci: «Ma dove siamo ancorati noi?». Su che cosa si fonda la nostra speranza?

Proviamo a rispondere a questa domanda alla luce del vangelo proposto per la festa della Santa Famiglia, con uno sguardo che tiene insieme il tempo dell’Avvento e quello del Natale.

Il cammino dell’Avvento ci ha detto che la storia umana è «abitata» da un’attesa: la nostra storia non porta già tutto in sé e ciò che avverrà non è semplicemente lo sviluppo di ciò che c’è ora o che è stato nel passato. La storia dell’umanità ha Qualcuno da attendere.

L’evangelo del Natale ha reso esplicito che la nostra storia, personale e comunitaria, è anche «abitata» da una Presenza.Ed è proprio questa Presenza a ribadire che si può ancora attendere Qualcuno. Questa Presenza è la radice di ogni speranza.

Il poeta Charles Péguy, nell’opera I misteri scriveva: «La speranza non va da sola. Per sperare, bimba mia, bisogna essere molto felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia». Il Cristo è quella grande grazia che permette di sperare.

Ma come discernere questa Presenza così «nascosta» da non imporsi alla libertà dell’uomo, che viene ignorata da una storia che continua a percorrere le sue vie, i suoi progetti? Dove riconoscere il volto del Verbo di Dio fatto uomo che ha posto la sua «tenda» in mezzo a noi?

Nel racconto lucano di Gesù fanciullo al tempio, troviamo alcune indicazioni per scoprire il luogo nel quale incontrare la presenza del Verbo fatto carne.

Innanzitutto, è detto dove non bisogna cercare Gesù, un luogo nel quale non lo si può trovare, e cioè tra i parenti e i conoscenti, tra quelli della sua casa. Il Verbo che è venuto ad abitare in mezzo a noi (Gv 1, 14) ha rivelato il volto di un Dio in cammino, non sedentario, che non può essere trattenuto nemmeno dai forti e santi legami di sangue. «Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?», dirà. E così: «Chi non lascia padre, madre…».

Allora, dove incontrare quella Presenza?

Noi possiamo sempre incontrare Gesù nella sua Pasqua. I genitori di Gesù erano saliti a Gerusalemme per la festa di Pasqua e ritrovano Gesù nel tempio, dopo tre giorni, come dopo tre giorni le donne lo ritroveranno risorto, non più nel sepolcro ma vivente nella comunità dei credenti.

Noi non possiamo incontrare Gesù se lo cerchiamo al di fuori della sua Pasqua, su vie differenti da quelle del dono di sé e dell’amore.

Il secondo è luogo è il suo popolo. Per trovare Gesù, i genitori devono ritornare a Gerusalemme, nel tempio, il luogo d’incontro tra Dio e il suo popolo e trovano il bambino mentre ascolta e interroga i sapienti del suo popolo.

Infine, per trovare Gesù occorre ascoltare e interrogare le Scritture.

Ascoltare e interrogare sono le due disposizioni per avvicinarsi alle Scritture.

Ascoltare è la capacità di lasciarsi toccare, trasformare, permettere che la Parola entri in noi liberamente e con tutta la sua forza. Ma nello stesso tempo occorre anche saper porre delle domande alle Scritture. Sovente noi chiediamo alla Bibbia «che cosa dobbiamo fare?», mentre la prima domanda da porre è: «qual è il Volto di Dio che sto cercando?».

Per ritornare alla citazione delle Lettera agli Ebrei, il modo con cui Gesù ha narrato il volto di Dio è fonte di quella speranza che permette di entrare «al di là del velo del santuario, dove Gesù è entrato». La speranza ci introduce nella dimora, nella dimensione eterna, infinita, di Dio.

 

Immagine: L’àncora, vetrate cappella ospedale S. Croce, Cuneo.

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