“Sono nato nel 1950 – scrive Riccardi – figlio del dopoguerra, di un’Italia che si stava rialzando dopo tante sofferenze. Ho sempre vissuto in un paese in pace, direi anzi di più, in un paese sicuro della sua pace, nonostante abbia attraversato fasi di crisi internazionali anche gravi. Mio nonno invece è stato fatto prigioniero a Caporetto nel 1917 e portato in Germania; mio padre ha combattuto la guerra in Albania nel corpo di occupazione italiana, è stato prigioniero in Germania, è tornato a casa che quasi non lo aspettavano più. Questa, Edith, mi sembra la differenza più significativa tra la mia e la tua generazione. Voi, e tu particolarmente, avete talmente sofferto il male della guerra da mantenere viva una grande aspirazione alla pace. La mia, nata nel dopoguerra, è una generazione che ha creduto, e forse ha dato troppo per scontato, che la pace fosse il nostro futuro”.
“Io sono nata nel male – risponde Bruck – al contrario di te (ndr. riferito a Riccardi). Ma ti dirò di più. Io ho conosciuto il male anche prima della guerra: sono nata nel 1931, la più piccola di sei fratelli, e sono nata nell’odio, perché sono nata nell’antisemitismo. E – a quanto vedo – credo che nell’antisemitismo morirò. Insomma, per me la prima ragione di sofferenza è stato il male che avevo intorno, nel senso che sono stata in qualche maniera punita da subito. Io sono nata in Ungheria, in un villaggio di 2.300 abitanti. E anche se non c’erano in quel momento le leggi razziali – come sarebbe successo dal ’38 in Italia – sentivo intorno a me un razzismo costante, sempre, sempre. In quanto ebrea, sono stata accusata fin da piccolissima di deicidio: “Tu hai ucciso Gesù, avete ucciso Gesù!”. Questo ho sentito dire da quando appena balbettavo. E quindi tutta l’infanzia l’ho trascorsa così, tra accuse, offese, aggressioni. Tornavo spesso a casa piangendo: “Mamma, perché mi dicono che noi abbiamo ucciso Gesù?”, chiedevo. Lei cercava di consolarmi, e spesso aggiungeva anche: “Ci hanno rubato anche Gesù. I goyim ci hanno rubato anche nostro figlio Gesù!”. In ogni caso avevo paura di Gesù, io”.
Bastano questi due incisi a descrivere un libro che è un dialogo profondo e significativo. Un dialogo tra due protagonisti del dibattito culturale e politico su che cosa sia il male, mantenendo “la costante speranza in una umanità migliore”. Edith Bruck, di origine ungherese, deportata nel ghetto del capoluogo e di lì ad Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen, sopravvissuta ai lager nazisti e Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, storico del mondo contemporaneo e in particolare del cristianesimo.
Diviso in cinque capitoli Edith Bruck e Andrea Riccardi che vengono da mondi distanti, non appartengono alla stessa generazione, e hanno radici culturali e religiose diverse ci regalano un saggio davvero interessante sul male con un passaggio imprescindibile per chi crede nel primato della pace nel mondo.
Oltre il male
Edith Bruck e Andrea Riccardi
Laterza
15 euro