“Ci sono voluti mesi per superare il blocco, percepivo il mio corpo come schifoso, toccato senza neanche lo schermo di protezione dei guanti e sento ancora questa sensazione di schifo, ci devo sempre fare i conti”: è forse questa la descrizione più intima e dolorosa che la giovane donna di 30 anni ha rilasciato ai giudici del collegio del tribunale di Cuneo chiamati a decidere se il 3 novembre 2021 ci fu su di lei violenza sessuale da parte del neurochirurgo cui si era rivolta per curare il forte mal di schiena che la affliggeva da mesi. A quella visita ci era arrivata tramite il fisioterapista da cui era già in cura. La visita del 3 novembre era in realtà il secondo appuntamento con lo specialista di problemi della colonna vertebrale. Alla prima visita del 20 ottobre la donna si era presentata accompagnata dalla madre e dal fisioterapista che si trattenne brevemente per parlare col medico in merito agli esercizi da svolgere con la paziente. Il resto della visita fu normale; la donna era stata fatta spogliare e sdraiare sul lettino dove sia in posizione prona sia supina vennero eseguite manovre di pressione sulla zona lombare e di articolazione delle anche. Vennero prescritti antinfiammatori e una risonanza magnetica del bacino con l’accordo di rivedersi nelle settimane successive. “Quando ebbi la risonanza magnetica la mostrai al fisioterapista che prese l’appuntamento con il neurochirurgo”, ha riferito la donna che proseguì in quelle settimane la fisioterapia, anche quel 3 novembre proprio prima di recarsi dallo specialista che aveva lo studio nello stesso centro medico. Da subito il dottore mostrò un atteggiamento amichevole, le chiese se aveva cambiato taglio di capelli, le dava del tu, la fece spogliare e sdraiare sul lettino ripetendo le manovre che aveva fatto nella prima visita. “Poi gli venne un’idea e iniziò a sfiorare le gambe a partire dai calcagni, le ginocchia, le cosce sia internamente sia esternamente, chiedeva se sentivo differenza tra la destra e la sinistra e io rispondevo, fino ad arrivare alla zona inguinale”. Con coraggio la donna ha proseguito il racconto di quello che è seguito, il medico senza guanti che le toccò la parti esterne dei genitali chiedendole sempre se sentiva, che si allontanò un attimo si infilò i guanti e proseguì l’ispezione interna toccando in maniera decisa. “Ero spaesata, tremavo, avevo paura, in quel momento il mio cervello non capiva. Quel tremore l’ho avuto per molti mesi in seguito durante le altre visite cui mi sono sottoposta ma anche quando ero tranquilla a casa mia”. Il medico non le disse mai cosa stava facendo e perché non le chiese il consenso; al termine dell’ispezione vaginale si levò i guanti e senza neanche dirle di rivestirsi si sedette alla scrivania dove non scrisse un referto e non commentò l’esito della risonanza magnetica se non su espressa richiesta della donna. Si tolse la mascherina (era periodo di emergenza Covid) e invitò anche la donna a farlo: “Non volevo apparire intransigente e la tolsi per un attimo ma mi sentivo esposta e la rimisi praticamente subito”. Il medico fissò un nuovo appuntamento per fare delle infiltrazioni e fissò un appuntamento: “Mi disse se andava benne di prima mattina così mi accompagnava mia madre, poi però lo spostò più tardi dicendo che io sembravo il tipo a cui non piaceva fare le cose con i genitori. Mi lasciò il suo numero di cellulare raccomandandomi di mandargli un messaggio, di non farlo preoccupare e prima di uscire mi diede una carezza sulla testa”. Non ci fu referto della visita che il medico non volle fosse pagata, dicendo che poi si sarebbero aggiustati. Tornata a casa raccontò subito alla madre cosa era successo; il giorno dopo si recò da una psicologa del consultorio per capire se dal punto di vista medico lui poteva fare quella visita. La stessa domanda rivolse nel pomeriggio alla propria ginecologa e nei giorni seguenti al medico di base. Entrambi le dissero che quella non era una visita e il medico di base le prescrisse un percorso di psicoterapia. Nei giorni seguenti una conoscente a cui la madre aveva raccontato quanto era accaduto nello studio medico, disse che aveva conosciuto quel medico quando era stata ricoverata in ospedale in seguito a un incidente stradale. “Raccontò che nonostante non fosse il suo medico personale la avvicinava continuamente commentando le sue cartelle e gliele portava anche a casa dopo le dimissioni, tanto che all’ennesima volta che suonò a casa mandò il marito a dirgli di non presentarsi più”. Il processo proseguirà il 22 gennaio con i primi testimoni dell’accusa.