Sei anni di reclusione è la pena richiesta dal pubblico ministero Pier Attilio Stea per S. E., cittadino albanese accusato di furto e tentata estorsione ai danni di un carpentiere col quale aveva lavorato in un cantiere edile a Caraglio tra il 2020 e il 2021. “Venne a casa mia mentre io non c’ero e caricò dal magazzino tutti i miei attrezzi di quarant’anni di lavoro. Mia sorella vide due uomini che caricavano un furgone. Io lo conoscevo perché avevo lavorato con lui alcuni mesi prima in un cantiere edile; lo chiamai e lui confermò di avermi preso gli attrezzi e di incontrarci a Cuneo per sistemare la cosa”. All’appuntamento, il 10 agosto 2021, si presentarono anche gli agenti di Polizia, allertati dalla vittima del furto, che fermarono S. E. e lo identificarono, riscontrando anche la violazione delle guida senza patente che l’uomo non aveva mai conseguito e l’assenza del permesso di soggiorno. A conclusione delle indagini l’uomo venne rinviato a giudizio con l’accusa di furto e tentata estorsione.
La parte offesa in aula aveva dichiarato di non aver mai ricevuto un’espressa richiesta di denaro: “Mi accusava di aver rubato altri attrezzi dal cantiere dove avevamo lavorato insieme e il cui titolare era suo cognato. Disse che c’erano le immagini delle telecamere che mi riprendevano e che dovevamo aggiustare la cosa”.
Di semplice restituzione aveva parlato l’imputato riferendo del furto che era avvenuto sul cantiere, un fatto confermato da un altro operaio il quale aveva però parlato di una sparizione di attrezzi di poco valore. Per il pubblico ministero Pier Attilio Stea i due furti non potevano essere messi in relazione, poiché l’imputato non si era limitato a recuperare l’attrezzatura che secondo lui era stata rubata, ma aveva riempito il furgone con tutti gli attrezzi del carpentiere, costringendolo di fatto a quella che l’imputato aveva definito una “restituzione”.
Per la difesa invece i due reati contestati non erano stati provati; per la tentata estorsione mancavano minacce e violenza, e anche il furto non era avvenuto in abitazione ma in una magazzino aperto e separato dalla casa. Il difensore ha parlato di un comportamento antigiuridico ma senza alcun intento estorsivo, e la prova era che prima di recarsi al magazzino della parte offesa, il proprio assistito aveva provato più volte a contattarlo telefonicamente. La sentenza è attesa per il 17 gennaio.