La terza domenica di Avvento è la domenica «In gaudete». È dunque una domenica nel segno della letizia, e della fiducia; sentimenti possibili per la certezza che «il Signore è vicino». La seconda lettura, tratta dalla lettera di Paolo ai Filippesi, propone in forma più diffusa quest’invito: «Non angustiatevi per nulla». È vero che l’Avvento è tempo di attesa e non di festa; di assenza e non di presenza; di cammino e non tempo di riposo. Ma già in questo tempo è possibile rivolgere una parola a Dio, sicuri di essere ascoltati, perché è vicino. Dunque in ogni necessità, in ogni fatica del cammino, «esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori».
Anche la prima lettura, del profeta Sofonia, è un invito alla gioia: «Non lasciarti cadere le braccia», anche se stenti a vedere la fine, ed il vantaggio, della tua fatica. Rimetti piuttosto la tua fatica, il tuo operare nelle mani di Dio, perché «il Signore è vicino, in mezzo a te Egli è un salvatore potente».
Nel quadro di questa letizia possibile anche in un tempo d’Avvento, si possono accogliere le parole Giovanni: «Fate opere degne di conversione, perché già la scure è posta alla radice degli alberi».
Parole severe, rivolte all’uomo che non si interroga a proposito della propria vita, ma s’illude ch’essa possa continuare a scorrere indifferente ed identica a quella di sempre, pur nel momento in cui Dio si avvicina.
Ma quando l’uomo, invece, si volge a quel Dio che aveva dimenticato, s’interroga a proposito della sua volontà senza paura per quello che potrà essergli richiesto, allora egli ascolterà parole meno dure, e farà esperienza che il giogo divino è soave.
«Che dobbiamo fare?».
A porre questa domanda al Battista sono diverse categorie di persone, alle quali Giovanni risponde chiedendo nulla di radicale come rinnegare sé stessi o uscire dalla propria condizione. Anche ai pubblicani e ai soldati è domandato solo di attenersi ai doveri del proprio lavoro, a restare nella condizione nella quale ognuno si trova. È chiesto di condividere, non pretendere, non abusare, non essere violenti. Detto in modo diverso: chi ha il doppio di tutto, può campare anche con meno; chi ha potere sugli altri si accontenti del giusto senza estorcere niente a nessuno; non siate ingordi di beni, avidi e non abusate del potere.
A chi non ha già deciso per conto proprio che quello che Dio potrebbe chiedere è troppo, troverà la letizia nel compiere ciò che è chiesto. E Colui che deve venire, aprirà il cuore con Spirito santo e fuoco.
Fuoco dello Spirito che intende bruciare la parte più superficiale della nostra umanità non ancora plasmata dalla logica delle Beatitudini.
Fuoco dello Spirito che è capace di insegnarci a non essere preoccupati «per nulla» (Fil 4,6) e gustare quella «pace che supera ogni intelligenza» e custodisce Gesù Cristo nei nostri cuori (4,7), spesso agitati e stanchi.
Il Dio che si fa carne è un invito a gioire nella misura in cui crediamo che, anche nelle circostanze in cui non sappiamo ancora che cosa «dobbiamo fare» per raddrizzare i sentieri della nostra vita, il Signore è vicino a noi come un alleato fedele e misericordioso: «Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico» (Sof 3,15).
Colui che era annunciato verrà, ma nella sua mano nessuna scure colpirà le radici dell’albero. Anzi, il vignaiolo otterrà dal padrone che al fico improduttivo sia concessa un’ulteriore possibilità.
«Che dobbiamo fare?».
Convertirci, che è anche condivisione dei beni con i poveri, il rifiuto di ogni forma di sopraffazione, di prevaricazione nei confronti dell’altro.