Per l’accusa era stato lui e non poteva essere stato che lui a diffondere foto intime della sua ex a parenti e amici di lei per due volte, nell’estate 2019 (alla loro prima separazione) e poi nell’estate 2021 a più di un anno dalla definitiva rottura. A lui la donna aveva mandato quelle foto intime all’inizio della loro relazione, scattate col cellulare che aveva lasciato a casa dell’amica da cui si era rifugiata dopo la prima fuga. Da quell’appartamento si era allontanata per andare da parenti in Albania, lasciando un po’ della sua roba e quel cellulare ormai mezzo rotto.
Poche settimane dopo, l’uomo (G. M., di origine albanese, l’attuale imputato) si recò dall’amica per prendere i vestiti che sosteneva gli appartenessero perché li aveva pagati e prese anche quel cellulare: “Solo da quel telefono poteva avere accesso al mio profilo Facebook e ai contatti dei miei parenti a cui vennero spedite le foto”, aveva riferito al giudice la donna che non si era costituita parte civile. “Chi altri poteva avere interesse a diffondere quelle foto, quale altro nemico aveva accesso a quelle vecchie foto archiviate in quel telefono e con tutti i contatti dei parenti?”, si è chiesto il pubblico ministero Alessandro Borgotallo concludendo con la richiesta di condanna dell’imputato a un anno e due mesi di reclusione e una multa di 6.000 euro. L’uomo aveva tardivamente offerto un risarcimento alla sua ex, che aveva accettato senza però rimettere la querela; “inoltre offrendo un risarcimento si deve dare mostra di pentimento e ravvedimento – ha proseguito il pm -, è una strada che non può prescindere dal riconoscimento della commissione del fatto, cosa che qui è mancata”.
L’imputato aveva infatti rigettato le accuse, sostenendo di avere ricevuto anche lui quelle foto e di averle poi condivise sul telefono dell’attuale compagna per dimostrarle che tipo di persona fosse la sua ex.
Da parte sua l’avvocato Enrico Gaveglio ha iniziato l’arringa ricordando che questo processo nasceva da un’indagine in cui erano stati contestati cinque diversi reati dallo spaccio alla violenza sessuale, tutti archiviati perché non venne trovato alcun riscontro, tranne quello del revenge porn che secondo la difesa non ha retto alla prova dibattimentale poiché non è stata identificata la provenienza di quelle foto, mandate con una sim albanese che il suo assistito aveva disconosciuto.
L’avvocato ha infine ricordato che nell’udienza in cui venne offerto il risarcimento, in un primo momento la donna disse di accettare e di voler rimettere la querela ma poi ci ripensò: “Una decisione da cui non si può tornare indietro, perché la remissione non è ripetibile”, ha concluso l’avvocato chiedendo l’assoluzione del proprio assistito. La decisione è stata rinviata al 30 dicembre dopo le repliche.