Nel chiedere la sua condanna a 20 giorni di arresto, il pubblico ministero Raffaele Del Pui aveva definito la condotta di D. M., cittadino nigeriano rinviato a giudizio per essersi rifiutato di fornire le proprie generalità, come di “uno che mena il can per l’aia”; una metafora che rende l’idea della fatica che hanno dovuto compiere per identificarlo i Carabinieri che lo fermarono la mattina del 17 luglio 2022, a Chiusa Pesio. Chiamati dal titolare di un albergo a sedare la lite tra l’imputato e un ragazzo francese, i militari giunsero sul posto quando il francese era già andato via, mentre D. M. andò loro incontro chiedendo informazioni sull’autobus da prendere per tornare a Cuneo. Alla richiesta di documenti, il giovane disse che non li aveva e fornì un nome, una data e un luogo di nascita. Non essendoci alcun riscontro identificativo, i militari gli chiesero di ripetere i propri dati anagrafici ed è qui che D. M. iniziò a tergiversare. “Ci fornì un’altra data di nascita, ma anche così non risultava niente – ha riferito in aula il Carabiniere che eseguì il controllo quella mattina – poi cambiò una lettera del nome, e poi ancora un’altra lettera, e ancora un’altra data di nascita. Abbiamo perso quattro ore per riuscire a identificarlo”. Alla fine come in un intricatissimo gioco enigmistico, i Carabinieri misero insieme le varie informazioni ottenute e associando uno dei nomi che il giovane aveva fornito, insieme a una delle varie date e luoghi di nascita ottennero l’identificazione di D. M., che – guarda caso – aveva già un precedente per rifiuto di fornire le proprie generalità. Rilasciato con una nuova denuncia, D. M. è stato processato davanti al tribunale di Cuneo. “Non solo ha fatto perdere tempo ai militari per riuscire a identificarlo – ha sottolineato il pubblico ministero – ma con il suo atteggiamento si è guadagnato un passaggio gratis fino a Cuneo”. Per questo motivo ne ha chiesto la condanna a 20 giorni di arresto, mentre l’avvocato Nicola Clerici ne aveva chiesto l’assoluzione per insussistenza del fatto poiché i militari erano riusciti a identificarlo proprio grazie alle informazioni da lui fornite. Una soluzione non condivisa dalla giudice che lo ha condannato al pagamento di 150 euro di ammenda, molto di più di un biglietto di autobus per Cuneo (immagine di repertorio).