“Fa parte del carattere finito della vita umana l’accettazione dell’approssimarsi della morte”. L’affermazione, seppur non posta in apertura, attraversa tutte le pagine del saggio di Giannino Piana sulle “questioni etiche di fine vita”. Non ci si attenda risposte definitive. Siamo su un terreno di riflessione, dice l’autore, dove la complessità, intesa come intrecciarsi di fattori diversi ed eterogenei, rende azzardato ogni valutazione che aspiri a stabilità e certezze. Rimane invece forte il richiamo alla responsabilità individuale congiunta a valutazioni connesse a singoli casi.
Il richiamo alle questioni etiche sollevate dal tema come le risposte che da più parti vengono fornite, va infatti di pari passo con l’esigenza di ancorare al concreto esistenziale ogni affermazione. Simile dimensione di realismo consiglia dunque un percorso che non vada a cercare soluzioni rigide, né in un senso né nell’altro, ma invece problematizzi la questione, ne colga la “ricchezza” in vista di una ricaduta in un quotidiano spesso drammatico.
Piana muove dalla constatazione del “malessere esistenziale” che avvolge la morte nella cultura contemporanea. La “tentazione prometeica” dell’uomo d’oggi, sostenuta dal progredire della tecnologia, come l’indiscutibile e positivo avanzamento nel campo medico e i suoi riflessi sulla salute sono alla base di un disagio culturale nell’affrontare il tema del morire, prima ancora della morte, inteso come il sentire approssimarsi il momento del distacco.
È in questo contesto che si pongono le domande sul fine vita. Su di esse l’autore riflette avendo come orizzonte culturale una “visione personalista” che non solo parla di un uomo non ridotto a corpo soltanto, ma anche vede nella relazionalità il suo carattere fondante. Di qui il coinvolgimento anche delle persone che si pongono accanto al malato siano esse i familiari o il personale sanitario.
Il concetto di “morte dignitosa” è presupposto di ogni riflessione. Significa che “ogni paziente, qualunque sia la sua condizione clinica, esige di essere curato (nel senso di “essere preso in cura”) anche nell’approssimarsi della morte, fruendo dei presidi a disposizione proporzionati all’entità della situazione”.
È una definizione che appare centellinata nelle parole. Rimanda alla concretezza della situazione, al diritto alla cura. Insieme apre alla questione della “proporzionalità” delle cure stesse, sottende lo sguardo sulla pratica dell’accanimento terapeutico, il suicidio assistito e l’eutanasia che sono, per l’autore, i “nodi critici” della riflessione etica sulla morte. Infine , certo non ultimo, richiama il diritto alla cura.
Nel suo percorso Giannino Piana rinnova costantemente l’esigenza di un confronto onesto tra le istanze laiche e i principi religiosi. Riconosce alle prime un fondamento esistenziale ed esperienziale e, mentre riafferma i secondi, non esita a problematizzarne le osservazioni. Allo stesso modo sottolinea i rischi del fondare una regolamentazione, pur necessaria nel suo definire gli orizzonti, solo su aspetti formali prescindendo da ogni riscontro valoriale. Ciò significa per un verso non rifiutare le opportunità offerte dal progresso scientifico e tecnologico, per l’altro umanizzare questo stesso sviluppo mettendolo a servizio della dignità umana.
L’ultimo orizzonte
di Giannino Piana
Editrice Interlinea
euro 14