Se Feuerbach definiva l’uomo “mangiatore di grano e di pane”, è lecito approfondire la storia di questo alimento “protagonista dell’universo gastronomico della civiltà occidentale”. È una ricerca che apre finestre inattese su argomenti che l’autore mette in evidenza per sottolineare la necessità di riflettere su quanto ha significato nei millenni quel grumo di farina lievitata.
La quotidiana frequentazione ha reso il pane un cibo principe eppure sottovalutato sulle tavole di oggi. Ridare dignità al pane è uno dei meriti del saggio insieme alla consapevolezza che “l’età del pane” è passata.
Definiti i confini della ricerca al pane lievitato, l’autore constata l’impossibilità di stabilire tempo e luogo della sua invenzione. È un “processo nebuloso” quello che ha condotto alla produzione, intreccio di fattori chimici e fisici, sociali ed economici.
Di certo la storia del pane è storia culturale già quando stringe relazione stretta con la rivoluzione agricola del Neolitico. Per fare il pane serve la farina, cioè la coltivazione, la stanzialità, quindi la nascita di comunità. Vero che, dice l’autore, la recente ricerca parla dell’alimentazione dell’Homo sapiens già comprendente cibi con farine, ma la grande svolta avviene con l’agricoltura e ciò che ne consegue.
Questa rivoluzione favorisce la nascita di comunità, di un centro di potere organizzatore della vita, quindi di una stratificazione sociale fondata su possesso e controllo degli alimenti. Storia antica che risuona ancora nel mondo contemporaneo.
Nello sviluppo delle civiltà, il pane si trova caricato di una forte valenza simbolica. Il riferimento ai testi evangelici è ovvio, ma l’autore rimanda anche al poema di Gilgamesh, all’antico Egitto, alla mitologia greca. Più avanti nel tempo il pane ha sapore politico. Diventa parola d’ordine delle rivolte contadine nella Francia medioevale, assieme alle rose, slogan per le rivendicazioni femminili in Inghilterra.
Nell’età moderna il pane cambia colore da nero diventa bianco, simbolo di una borghesia che, nel colore, si distingue anche a tavola dai ceti più umili. Si arriva poi al pane industriale figlio di esigenze economiche e sociali, di un mondo che non ha più tempo per attendere la lievitazione e deve ottimizzare i passaggi di produzione e commercializzazione. La constatazione della “crisi del pane” fa tutt’uno con la nascita di una cultura globalizzata che ha trasformato le abitudini alimentari, senza appianare i divari economici, anzi portando le ingiustizie sociali a livello mondiale.
Storia del pane
di Gabriele Rosso
Editrice Il Saggiatore
euro 17