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Giovedì 21 novembre 2024

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Ridotte le pene nel primo processo per caporalato in provincia di Cuneo

Due anni in meno al caporale Momo, che sfruttava il lavoro dei braccianti nel saluzzese

Saluzzo

La Guida - Ridotte le pene nel primo processo per caporalato in provincia di Cuneo

Le condanne sono state confermate ma le pene sono state ridotte in Appello per i responsabili del primo processo per caporalato della provincia di Cuneo conclusosi in primo grado nell’aprile del 2022. Dei sette imputati accusati di sfruttamento della manodopera, cinque erano stati condannati dalla giudice Alice di Maio al termine di una lunga istruttoria durante la quale erano stati ascoltati molti lavoratori stranieri impiegati presso la ditta ortofrutticola di Lagnasco e di allevamento di polli di Barge. Condannati in primo grado a cinque anni di reclusione, Moumouni Tassembedo, il caporale Momo che diede nome all’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Carla Longo, Diego Castaldi e Marilena Bongiasca titolari della ditta frutticola, si sono visti ridurre la pena a tre anni e sei mesi di reclusione, mentre Andrea Depretis  e Monica Colava responsabili dell’allevamento di Barge condannati in primo grado a 3 anni, hanno patteggiato in appello la pena di 1 anno e undici mesi.
Un caporalato grigio lo aveva definito nella sua requisitoria la dottoressa Longo, “uno sfruttamento che si nasconde sotto un’apparenza di legalità, che non si manifesta con forme violente ma che si basa sulla fragilità e sfruttabili dei lavoratori”.
Partita nel 2018 dalla denuncia di uno dei lavoratori impiegato presso le due ditte,  l’indagine aveva messo in luce uno sfruttamento fatto di buste paga sempre più basse dell’effettivo numero di ore lavorate e da cui veniva detratte somme di denaro di cui i lavoratori non capivano le ragioni, di evasione dei contributi e di violazione delle norma di sicurezza sul posto di lavoro e di condizioni abitative degradate. Uno sfruttamento garantito dalla intermediazione di Momo, l’unico tra i lavoratori a parlare e comprendere l’italiano, l’unico con cui i datori di lavoro si relazionavano per trattare con i giovani lavoratori, e che da questa situazione avrebbe tratto dei vantaggi economici, riscuotendo una sorta di tassa mensile proprio per questo lavoro di mediazione. I giudici della corte d’Appello hanno inoltre confermato il risarcimento per i due lavoratori costituiti parte civile e per la CGIL ,FLAI-CGIL e l’Associazione Sicurezza e Lavoro anch’esse costituite in giudizio.

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