Si è concluso con un’assoluzione il processo per lesioni colpose e mancata osservanza della prescrizioni in materia di infortuni a carico di L.V. accusato delle lesioni riportate dal padre F. mentre eseguiva un lavoro all’interno del cimitero di Acceglio. La ditta di pompe funebri era stata creata e diretta proprio dal signor F. per oltre quarant’anni e solo di recente la titolarità era passata al figlio, mentre lui continuava ad aiutarlo come dipendente.
Quel giorno di maggio del 2021 il padre dell’imputato era andato al cimitero di Acceglio a predisporre la lapide per un funerale che si sarebbe svolto il giorno dopo. Era salito su una di quelle scale messe a disposizione dei cittadini per sistemare i fiori vicino alle tombe nei loculi più alti, assolutamente inadatta però per spostare una lapide di circa 30 chili di peso. L’uomo aveva perso l’equilibrio, la lapide era caduta in avanti rompendosi a terra e lui era scivolato all’indietro cadendo da un’altezza di circa 4 metri, fratturandosi il bacino e due vertebre, con una prognosi di 160 giorni. “Quel tipo di lavori l’ho sempre fatto e non era mai successo niente del genere – aveva riferito l’uomo alla giudice -, ma so che quel tipo di attrezzatura non era adatta a svolgere quel tipo di lavori, oggi deleghiamo a ditte specializzate a fare ponteggi”.
Per l’accusa sostenuta dal pubblico ministero Attilio Offman la responsabilità del figlio, titolare della ditta, era chiara dal momento che non c’era stata delega scritta per svolgere quel lavoro e che sapevano entrambi che non disponevano dell’attrezzatura adeguata, “del rapporto tra padre e figlio possiamo tenere conto nella formulazione della richiesta di condanna, ma non fino al punto di sostenere che per le imprese di tipo familiare non si applica il testo unico del 2008”, ha sottolineato il pubblico ministero chiedendo la condanna dell’imputato al pagamento della multa da 300 euro. “Siamo proprio sicuri che il figlio non abbia fatto il possibile per evitare che il padre andasse a fare quel lavoro?” si è chiesto di rimando l’avvocato Alessandro Ferrero difensore dell’imputato, sottolineando la particolarità di una situazione in cui il socio lavoratore in questo caso era stato fino all’anno prima il titolare della ditta che aveva gestito per oltre quarant’anni e che faticava ad essere ‘regolato’ dal figlio a cui lui stesso aveva insegnato il mestiere, “il padre sapeva che che non si sarebbe dovuto fare così, ma lo aveva sempre fatto. Lui stesso ha infatti dichiarato che anche se il figlio non voleva che andasse a fare il lavoro lui andava lo stesso”. Una tesi, quella della consapevolezza del rischio che l’uomo si era assunto eseguendo quel lavoro senza l’attrezzatura adeguata, accolta dalla giudice che ha assolto l’imputato per insussistenza del fatto.