Era stata invitata presso la tenenza della Guardia di Finanza dove un maresciallo le aveva notificato l’avvio di un’indagine fiscale sulla sua attività di lavanderia, avvisandola che a breve sarebbero andati presso la sede della sua impresa per svolgere i controlli necessari. Come luogo di attività della ditta era indicato un indirizzo di Fossano dove però i militari non trovarono nulla; la donna fu trovata invece presso un capannone a Cavallermaggiore, dove era stata registrata un’altra attività a nome del cognato. Quando il 13 marzo 2018 i militari si presentarono al capannone e suonarono al cancello, la donna uscì fuori e vedendoli rientrò subito all’interno. I finanzieri attesero invano per alcuni minuti e poi uno di loro scavalcò il cancelletto ed entrò dentro: “Da fuori sentivamo il rumore di macchinari in funzione – ha riferito uno dei finanzieri che eseguirono il controllo – e quando il collega entrò la donna stava spegnendo gli interruttori dal quadro elettrico, ma erano ancora caldi”. All’interno c’era una grande lavatrice e tre macchinari per stirare, in fondo al capannone un magazzino con gli indumenti già puliti. Nel capannone c’era anche un piccolo locale adibito a cucina e un bagno. Nessuno in quel momento contestò nulla ai militari, ma quando due mesi dopo la donna e suo cognato vennero chiamati per la firma del verbale con le contestazioni, l’uomo disse che li avrebbe denunciati per violazioni di domicilio poiché il capannone di Cavallermaggiore era in realtà un’abitazione. Gli esposti furono tre a carico dei militari che avevano eseguito l’accertamento, e quando furono tutti archiviati il maresciallo denunciato sporse a sua volta denuncia per calunnia, reato di cui N. D. (cittadina di origine russa) è stata chiamata a rispondere in tribunale a Cuneo. Tutte le prove emerse in aula avevano chiarito la reale natura di quel luogo, un capannone per attività industriale in cui nessuno aveva domicilio e dove a parte un piccolo locale adibito a cucina e un bagno non c’era nulla che potesse connotare quel luogo come abitazione. A conclusione dell’istruttoria il pubblico ministero ha sottolineato che il maresciallo avesse tutto il diritto di scavalcare ed entrare, vista la reticenza della donna che stava cercando di sottrarsi al controllo fiscale: “Ognuno di noi ha il diritto di difendersi, senza però travolgere gli altri con false accuse”, ha concluso il pubblico ministero Lucietta Gai, chiedendo la condanna dell’imputata a due anni di reclusione. Di diverso avviso l’avvocato Marina Mana che ha chiesto l’assoluzione per la propria assistita sottolineando la mancanza di dolo nella presentazione dell’esposto, avendo vissuto con timore quell’irruzione nel locale e interpretandola come una violazione. Il giudice ha però giudicato colpevole la donna e per questo l’ha condannata a due anni di reclusione con pena sospesa oltre al pagamento delle spese processuali.