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Domenica 22 dicembre 2024

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Essere a servizio di tutti come moltiplicazione di un’esistenza vera

Ma temiamo che il servizio sia nemico della felicità, che sia il nome troppo difficile dell’amore

Cuneo

La Guida - Essere a servizio di tutti come moltiplicazione di un’esistenza vera
lavanda dei piedi

 

Is 53,10-11; Sal 33 (32); Eb 4,14-16; Mc 10,35-45

Giovanni, il fine teologo, il discepolo preferito, probabilmente il migliore, domanda al Maestro: «Voglio che tu mi dia quello che chiedo. A me e a mio fratello».
Dopo tre anni di vita insieme, di malati guariti, di uomini e donne sfamati, dopo che Gesù annuncia per tre volte la morte in croce, è come se i discepoli non avessero ancora capito nulla.
E ancora una volta il Maestro, con pazienza, ricomincia a spiegare il suo modo di pensare: «Non sapete quello che chiedete!». Con questa domanda andate a toccare corde oscure che abitano il cuore dell’uomo, quelle che nascono dalla fame del potere, dell’apparire. E infatti gli altri dieci si indignano, si ribellano, tutti gelosi, accomunati dall’identico desiderio di essere i primi.
E così il Maestro deve dire ancora una volta qual è la sua prospettiva: tra voi non sia così. Ricordatevi che «Chi vuole diventare grande tra voi sia il servitore di tutti». Se per quel tale, ricco senza nome obbediente alla legge, l’amore si coniugava con il «dare», ora per i discepoli l’amore va coniugato con il «servire». Non solo come prospettiva per una nuova civiltà, ma perché quello è il nome di Dio. Come assicura Gesù: «Non sono venuto per procurarmi dei servi, ma per essere io il servo». Che inaudito: Dio mio servitore!
Vanno così in frantumi certe idee su Dio e sull’uomo: l’Altissimo non è il Padrone, ma è il Servo di tutti, Colui che non ha troni ma si cinge di un asciugamano e s’inginocchia ai piedi di ogni uomo, e fascia le ferite.
Se allora Dio è nostro servitore, chi sarà il nostro padrone?
L’unico modo perché non ci siano più padroni è essere tutti a servizio di tutti. E questo non come una povertà di vita, ma come moltiplicazione di un’esistenza vera.
Un bel sogno, ma per niente facile, perché temiamo che il servizio sia nemico della felicità, che esiga un capitale di coraggio di cui siamo privi, che sia il nome troppo difficile dell’amore.
Davanti al Maestro-Servo che rivela il volto di Dio, preferiamo volgere lo sguardo altrove perché, come scrive il profeta, il Servo dell’Altissimo «non aveva figura né bellezza da attirare i nostri sguardi, né apparenza da farcelo desiderare. Disprezzato e rigettato dagli uomini, uomo dei dolori, conoscitore della sofferenza, simile a uno davanti al quale ci si nasconde la faccia, era disprezzato, e noi non ne facemmo stima alcuna. Eppure egli portava le nostre malattie e si era caricato dei nostri dolori» (Is 53).
L’ingenua astuzia dei due fratelli è come un tentativo di rimediare a quella distanza che c’è tra loro e il Maestro. Distanza che resta anche per noi e che va piano piano ridotta, imparando da Gesù che veramente grande è colui che serve, misura di ogni autorità.
Oltre a guardare la concretezza di uomini e donne che hanno fatto del servizio il loro stile, può essere utile ripensare alla scena della Lavanda dei piedi nell’Ultima Cena alla luce del canto «Servire è regnare»«Guardiamo a te che sei / Maestro e Signore / chinato a terra stai, /
ci mostri che l’amore
/ è cingersi il grembiule,
/sapersi inginocchiare, /
c’insegni che amare è servire… / E ti vediamo poi,
/ Maestro e Signore,
/ che lavi i piedi a noi
/ che siamo tue creature; /
e cinto del grembiule, / 
che è il manto tuo regale,
/ c’insegni che servire è regnare».

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