Si è chiuso con una condanna il processo ad A. D. P., l’uomo accusato di maltrattamenti e lesioni aggravate dalla presenza di minori, in danno della ex compagna per una serie di episodi che si verificarono tra luglio e novembre 2021, quando la coppia era in fase di separazione. Le indagini non partirono dalla donna ma dalla piccola figlia che più volte raccontò alla maestre quello che avveniva in casa: “Litigi in cui la mamma veniva spinta per le scale o le veniva tirato addosso un tavolino o una sedia, insultata e minacciata, tanto che la bambina non voleva più andare a scuola per timore di quello che sarebbe potuto accadere in casa in sua assenza”, aveva sottolineato il pubblico ministero Francesca Lombardi, che al termine della propria requisitoria aveva chiesto una condanna a tre anni e tre mesi. Richiesta completamente accolta dal collegio dei giudici che ha inflitto all’uomo anche il risarcimento di 5.000 euro ciascuna, in favore della donna e della figlia costituite parti civili in giudizio. Erano state le insegnanti a raccogliere i racconti della bambina in una serie di relazioni poi consegnate ai servizi sociali che segnalarono il fatto alla Procura della Repubblica. “Uno stato d’ansia quello della bambina – aveva ancora sottolineato la dottoressa Lombardi – tale da indurre la bambina a confidare alle maestre che voleva trasferirsi dai nonni materni che abitavano in Lombardia vicino ai Carabinieri”. Mai la donna aveva denunciato le violenze subite, neanche in seguito all’episodio di novembre 2021, l’ultimo di quelli contestati, e di cui c’è traccia nel referto dei sanitari che intervennero quella sera. Solo nella chat della classe della figlia, la donna aveva avvisato le maestre che la bambina non sarebbe andata a scuola il giorno dopo e che lei era stata picchiata. Per l’avvocato Enrico Gallo difensore di A. D. P. non solo quegli episodi non sarebbero in realtà neanche avvenuti (tranne l’unico confessato dal proprio assistito), ma nemmeno rientrerebbero nella fattispecie del reato di maltrattamenti in famiglia, poiché i due vivevano di fatto già separati, incontrandosi saltuariamente quando l’uomo andava a casa della donna per stare con la bambina. Per la difesa, tutti gli episodi contestati in realtà non poggerebbero su testimonianze dirette ma solo sulla ricostruzione fatta da insegnanti e assistenti sociali in base ai racconti della bambina, che sicuramente aveva vissuto con paura quel periodo di litigi e discussioni dei genitori, ma che non sembrava avere alcun timore a trascorrere del tempo con il padre, che in aula aveva confessato solo uno schiaffo dato alla donna nel corso della loro ultima discussione, provocata a suo dire dallo stato di ebbrezza alcolica dell’ex compagna. Uno stato di ebbrezza non confermato dai sanitari che soccorsero la donna, ma di cui aveva parlato in aula l’attuale convivente dell’uomo, sostenendo che la donna era sempre ubriaca. Una testimone giudicata non credibile dall’accusa nel momento in cui in aula aveva negato di essere stata a sua volta picchiata dal convivente, come testimonia il referto del pronto soccorso a cui la donna si rivolse e dove lei stessa raccontò di essere stata picchiata dal compagno. In aula però la donna aveva riferito che in quell’occasione si era solo voluta vendicare per una discussione che avevano avuto. Una circostanza che ha indotto l’accusa a chiedere, e i giudici a concedere, la trasmissione degli atti alla Procura per il reato di falsa testimonianza.