Si era presentato ai quiz per la patente di guida munito di telefono collegato a fotocamera e auricolari, pronto a farsi suggerire le risposte giuste alle domande del test, ma era stato scoperto dai controlli eseguiti dagli addetti alla sicurezza che passando tra i banchi avevano rilavato la presenza di congegni elettronici attivi proprio in corrispondenza di K. M., cittadino pakistano. “Ci avevano chiesto di intervenire in seguito a questo controllo – ha riferito in aula l’assistente capo della Polizia -, lui ha confermato e li ha consegnati. Lo abbiamo trovato fuori dall’aula con il cellulare la fotocamera e l’auricolare; l’italiano lo capiva ma non in modo tale da sostenere un esame della patente. La scheda del telefono era di un connazionale che avrebbe pagato una volta superato il test”. A suo carico la Procura ha proceduto con l’accusa di falso in atto pubblico per induzione in errore. Una funzionaria della Motorizzazione ha confermato l’accaduto a cui aveva assistito personalmente: “Usiamo uno strumento che rileva le frequenze e quando questo suona chiediamo, non so se la telecamera fosse funzionante”. “Fatico a ricordare perché eventi come questo capitano – ha riferito l’esaminatore in servizio quel giorno -, anche solo tenere acceso il telefonino inficia la prova. Quando abbiamo trovato il telefonino l’esame era già iniziato, lui è uscito fuori accompagnato dalla sicurezza e io dentro ho continuato l’esame”. Per l’accusa il fatto che non fossero stati eseguiti accertamenti sul funzionamento della telecamera rendeva di fatto impossibile verificare se gli atti fossero idonei alla commissione del reato e per questo il pubblico ministero ha concluso per l’assoluzione dell’imputato, richiesta a cui si è associata anche la difesa. Il giudice ha derubricato il reato di falso in atto pubblico in quello di tentativo di plagio e ha assolto per insussistenza del fatto.