Nel giro di pochi decenni l’agricoltura cuneese ha fatto passi da giganti arrivando a valere oltre 3 miliardi di euro.
Un patrimonio che, in un contesto geopolitico ed economico segnato da tensioni sui mercati, incertezze di approvvigionamento e altalene dei prezzi, necessita di basi più che mai solide per il futuro. Oggi costruire queste basi, ossia tracciare la via per l’agroalimentare di domani, significa puntare sulla sovranità alimentare.
Di sovranità alimentare si è molto parlato (e si parla) da ottobre 2022, ossia da quando il ministro Francesco Lollobrigida si è insediato al dicastero dell’agricoltura, che da Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha assunto la denominazione di Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.
Una definizione che ha avuto particolare eco: molti hanno guardato con sospetto alla sovranità alimentare, concependola come una forma di nazionalismo mirata all’autarchia e all’adozione di misure protezionistiche in contrapposizione alle dinamiche della globalizzazione e alle politiche sovrannazionali di concertazione.
Ma è sfuggito ai più che “sovranità alimentare” è la denominazione di un concetto introdotto da tempo nel dibattito sulle politiche agricole con un significato decisamente progressista: indica, infatti, il diritto dei popoli ad alimenti sani, culturalmente appropriati e prodotti con metodi sostenibili e il loro diritto di definire il proprio sistema agricolo e alimentare senza costrizioni esterne legate a interessi privati e specifici.
È un concetto ampio, complesso, che sancisce l’importanza della connessione tra territori, comunità e cibo, e pone la questione dell’uso delle risorse in un’ottica di bene comune, in antitesi ad un utilizzo scellerato con il profitto di alcuni.
Una scelta di termini e di azione politica, quella di denominare il dicastero dell’agricoltura Ministero della sovranità alimentare, che la Coldiretti aveva suggerito al futuro governo durante la campagna elettorale per le politiche nel settembre 2022, per concentrare le competenze sparse in troppi ministeri.
Una scelta che significa nei fatti un impegno per investire nella crescita dell’agricoltura, estendere le competenze all’intera filiera agroalimentare, ridurre la dipendenza dall’estero, valorizzare la produzione di piccola e media scala e la biodiversità del nostro territorio e garantire ai cittadini la fornitura di prodotti alimentari locali o nazionali di alta qualità.
Negli ultimi quattro anni, prima la pandemia poi le guerre hanno dimostrato la centralità del cibo e l’importanza di garantire l’autonomia alimentare del Paese in uno scenario segnato da distorsioni commerciali, accaparramenti e speculazioni che mettono a rischio gli approvvigionamenti.
In particolare, due anni di guerra in Ucraina hanno sconvolto i mercati e cambiato il contesto geopolitico globale per i sistemi agroalimentari; una situazione inasprita dal conflitto israelo-palestinese e dalle tensioni sui traffici marittimi nel Mar Rosso.
Per queste ragioni, Coldiretti definisce una necessità improrogabile garantire la sovranità alimentare tenendo la bussola puntata sul territorio, costruendo sinergie tra chi produce, chi trasforma e chi vende.
In altre parole, producendo di più e valorizzando la produzione locale.
In tal senso gli accordi di filiera si configurano come il principale strumento che abbiamo a disposizione per assicurare una giusta remunerazione a tutti gli attori che operano lungo la catena alimentare, dal campo alla tavola.