Nicola Digirolamo, 48 anni, nasce a Gioia del Colle, ma fin da piccolo è diventato cuneese, al seguito del padre ferroviere che si trasferisce a Cuneo. Da anni vive a Roccasparvera. Dopo studi tecnici e di architettura al Politecnico di Torino, fa il grafico e il fotografo indipendente.
“Credo che la volontà di dare un’interpretazione personale all’osservazione di persone o cose sia germogliata in me da giovanissimo osservando i cambiamenti del paesaggio italiano durante le innumerevoli traversate in treno od in auto lungo l’Adriatico- scrive nella suaa biografia lo stesso Digirolamo -. Paesaggio, mare, campagna e tradizioni che non ritrovavo nel cuneese, quindi, mi han sempre rimandato alla bellezza idealizzata di qualcosa di straordinario e sfortunato che ho custodito gelosamente nella mente senza però mai riuscire a rendere questa memoria concreta, tangibile e fruibile. Anni dopo, forse già troppo tardi nel percorso formativo, durante i trascorsi al Politecnico di Torino, sono rimasto colpito dai superbi lavori fotografici di Gabriele Basilico prima e dalla scoperta della poetica Harry Callahan e Saul Leiter poi. Tra le righe della loro produzione ho trovato una base cui appendermi per provare a dare forma al mio sentire: li ho interpretati come eredi di quel tipo di fotografia del periodo prebellico in cui c’è un grande uso della luce e dell’oscurità e che ritroviamo stilisticamente nelle immagini riprodotte sulle vecchie enciclopedie che, ricordo, osservavo per ore”.
Nasce così il suo interesse verso il mezzo espressivo fotografico e una sperimentazione sul campo, che l’ha portato a varie esperienze e a molti viaggi e un’idea della fotografia cambiata nel corso del tempo, passando aidee del tutto personali sul sublime nel paesaggio naturale, nel paesaggio antropico ed in quello dell’animo umano. Un primo impiego in campo pubblicitario a stretto contatto con fotografi di diversa formazione ha affinato la sua volontà di fare scuola e perseguire solo progetti di ricerca a lungo termine con l’esclusivo uso del bianco e nero analogico. È forse la chiave di lettura dei lavori che propone, la sottrazione del colore e la ricerca di un’epica, il costante desiderio di semplificare la complessità del tempo e dei sentimenti che viviamo giorno dopo giorno. “Mi piace l’idea di fotografia come avventura” scrive ancora.
La sua attività espositiva in Italia, un po’ ad intermittenza, si è accompagnata alla partecipazione a importanti rassegne e mostre personali anche all’estero: Proteggimi da quello che voglio (Cuneo, 2003), La mia città non è la mia città (Sammichele di Bari, 1975), …e se urlassi in silenzio? (Torino, 2006), A-lice in wonderland (Roma, 2007), Le ombre dolci -Voyage sentimental au coeur de la Pouille- (Parigi, 2009), Libreria mediterranea (Atene, 2009), Ars in vinum (Castello di Barbaresco, 2009), Art in cooking (Fiumicino – Roma -, 2009), Viaggio al Belgio (Torino 2011) cui è seguita la lavorazione di un docufilm di Mattia Napoli con il medesimo titolo nel 2017, El perro de San Roque no tiene rabo (Santander, 2017), The grieved mother (Sofia, 2019). Fino a “Let’s find some beautiful place to get lost” in grandArte – Help 2022 il recupero di un progetto fotografico a lungo termine sul Regno Unito sviluppato in collaborazione con una galleria di Liverpool contemporaneamente al nascente dibattito sulla Brexit negli anni precedenti al referendum del 2016 ed interrotto nel 2020 a causa delle restrizioni sui viaggi legate alla pandemia da Covid-19. L’impressione finale è quella di uno sguardo sui sentimenti di disinteresse collettivo verso qualcosa di intorbidito ed incarognito.
“Lo sguardo fotografico in bianco e nero di Nicola Digirolamo – scrive Enrico Perotto – è nello stesso tempo selettivo, intuitivo ed esplorativo: sa descrivere con nitidezza di particolari le scene urbane, suburbane e naturali, puntellandole di elementi architetto- nici sapientemente tinteggiati di ombre lunghe e nette a contrasto con i tagli a punta di coltello dei piani guizzanti di luci. Le presenze umane, se rilevate, sono perlopiù minime, con un ruolo spontaneo di contrappesi visivi o di scoperti repoussoir che guidano l’occhio dell’osservatore all’interno dello spazio dell’immagine… Il punto di vista di Nicola, sempre preciso e accorto a cogliere la profondità prospettica, ci restituisce comunque un’interpretazione nello stesso tempo oggettiva e vitale, in grado di recuperare i tempi più lenti della contemplazione, in ossequio anche al detto di Saul Leiter, per il quale il “dono di un fotografo per lo spettatore a volte è la bellezza nell’ordinario trascurato”.