È attuale il tema del Vangelo di questa domenica e il testo merita di essere letto con attenzione.
La questione che alcuni farisei pongono a Gesù riguarda il tema del divorzio, e bisogna subito fare attenzione alla formulazione della domanda: «È lecito a un marito ripudiare la propria moglie?». Già nella domanda è insito un divario, poiché manca la seconda possibilità, ovvero se sia lecito a una donna ripudiare il proprio marito.
La risposta di Gesù rimanda direttamente al testo di Gen 2. Questa pagina biblica meriterebbe una spiegazione più ampia, ma ci limitiamo solo ad alcuni aspetti utili per comprendere il discorso evangelico di Gesù.
In Gen 2 si narra la creazione dello ‘Adam, ovvero dell’essere umano – e non solo del maschio –, dato che qui il termine «‘Adam» indica «l’essere umano», l’umanità.
Come in Gen 1, lo ‘Adam (l’essere umano) si presenta come un’unica realtà in relazione, a partire dalla propria diversità. Dal «non è bene che lo ‘Adam sia solo», cioè che l’umanità si presenti in un certo senso senza relazione, si attua una divisione dello ‘Adam in modo che ci sia un aiuto che sia sullo stesso piano, alla pari, di fronte. Ecco, dunque, che lo ‘Adam diventa maschio e femmina, ish e isshah (uomo e donna), l’una/o fianco dell’altro/a e, allo stesso tempo, l’una/o di fronte e aiuto dell’altro/a.
Diversità che non è però distanza o separazione, ma possibilità di relazione, cammino di comunione, itinerario d’amore per realizzare proprio «quello ‘Adam» unificato a immagine di Dio, libera partecipazione all’atto creativo di Dio nel divenire quella «somiglianza» che l’essere umano porta in sé come «immagine divina».
Alla luce di questo, la risposta di Gesù diventa più comprensibile: «Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque, l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
Il «divenire una sola carne», così come la Chiesa, popolo di Dio, è chiamata a divenire «un solo corpo», è la vocazione prima di tutta l’umanità a partire, ma senza essere limitata a questo, dall’unione sponsale di un uomo e di una donna; vocazione che si realizza nell’espressione piena e matura di quella relazione che può permettere a ognuno/a il riconoscimento dell’altra/o, come unica possibilità di realizzare la propria parte di umanità. E tale vocazione scaturisce, proprio come descritto sia nel capitolo 1 che nel capitolo 2 di Genesi, dal disegno di Dio, che – appunto – come Gesù ribadisce nel Vangelo nessuno può «dividere».
L’insegnamento di Gesù non finisce qui: «E disse loro: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio”». In queste parole, non solo è menzionato l’adulterio come negazione dell’altro, rottura e tradimento di quella relazione che dovrebbe essere di fiducia, rispetto reciproco, ma Gesù, riferendosi proprio alla domanda iniziale che alcuni farisei gli avevano posto pare sottolineare la pari uguaglianza (anche le donne nella possibilità di ripudiare i propri mariti, cosa che, nella domanda iniziale, era esclusa).
Più che negare la possibilità di un divorzio vi è qui l’amara constatazione che ogni divisione è un tradimento a quella vocazione di umanità che tutti ci portiamo dentro, tenendo conto che ogni mancanza di unità nella diversità è un «adulterio», a tutti i livelli.
Concludiamo con una nota di speranza: nei confronti dei tradimenti del popolo, Dio, che ha con esso un rapporto matrimoniale, non ha mai emesso un atto di ripudio se non in maniera simbolica e temporanea (Os 1-3). C’è dunque una fedeltà divina, previa e costitutiva, a contrastare la durezza del cuore umano e a dire che la fedeltà è possibile, che si può sperare che un legame sia riannodabile lungo il succedersi di giorni costellati dalle difficoltà della vita e delle relazioni.