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Giovedì 3 ottobre 2024

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Castagne, un’annata pesantissima per i boschi del cuneese

Nei dati diffusi da Cia Cuneo, stagione in ritardo e cali di produzione (in certi casi vicina allo zero)

Cuneo

La Guida - Castagne, un’annata pesantissima per i boschi del cuneese

“Il 2024 si avvia ad essere archiviato come l’annus horribilis delle castagne in provincia di Cuneo. La stagione non è conclusa, ma i primi dati sulla raccolta, in ritardo di un paio di settimane rispetto al normale, non lasciano purtroppo ben sperare”. Lo sostiene senza mezzi termini l’organizzazione professionale agricola Cia Cuneo, che ha diffuso oggi (giovedì 3 ottobre) una nota con dati e testimonianze sull’andamento della castanicoltura sui territori della Granda, con un quadro pesante per le vallate intorno al capoluogo.
“La zona maggiormente in difficoltà è quella delle valli intorno a Cuneo, dove la produzione ha subito cali senza precedenti, ma anche nelle altre aree castanicole della Granda la situazione non è di molto migliore.
«Nel nostro territorio le prospettive sono pessime – rileva Matteo Chesta, presidente del Consorzio di promozione, valorizzazione e tutela della Castagna di Bernezzo -, sulle varietà locali, come la Gentile e la Tempuriva, la produzione è scesa fino al 10/20 per cento rispetto allo scorso anno, in altri termini si può dire che si sia quasi azzerata. Colpa delle piogge e delle grandinate primaverili, che hanno drasticamente compromesso l’allegagione, con l’aggiunta di problemi fungini e del ritorno del mal d’inchiostro».
Le uniche “consolazioni” sono la pezzatura e la qualità, che appaiono molto buone, ma non sufficienti a compensare la severa riduzione della produzione.
«Qualcosa in più si è ottenuto dalle varietà giapponesi – aggiunge Chesta -, con pezzature maggiori, ma parliamo in ogni caso di cali di produzione intorno al 50 per cento».
Di un vero disastro parla anche il castanicoltore del bovesano e vicepresidente vicario provinciale di Cia Cuneo, Marco Bellone: «Il colpo di grazia lo ha dato il freddo della prima settimana di settembre – dice Bellone -, la produzione è ridotta ai minimi termini, come nel 1976, dopo di allora non si era più vista una stagione cosi negativa. Forse si salverà qualcosa nelle zone ad altitudini maggiori, dove la fioritura è avvenuta più tardi, ma non c’è da illudersi. Il prezzo dipenderà dalla produzione in Meridione e poi dalla pezzatura e dalla qualità, che sono buone, ma se non c’è prodotto, non fa testo».
Bellone non manca però di sottolineare una considerazione generale: «Al di là del caso specifico – avverte Bellone -, bisogna dire che il castagneto va coltivato e non munto. Abbiamo troppe piante vecchie, che vanno risanate, se non sostituite. La manutenzione è fondamentale per rendere le piante più resistenti e ottenere pezzature migliori. Occorre investire sulla potatura, ogni sei o sette anni i castagneti necessitano di interventi. Bisogna saper guardare al futuro e non solo pensare al presente».
Raccolta in ritardo anche nel Monregalese, dove le previsioni sembrano però lasciare qualche margine di speranza in più rispetto al Cuneese: «Il bilancio andrà fatto a fine stagione – commenta Marco Bozzolo, castanicoltore e vicepresidente provinciale di Cia Cuneo -, anche qui un calo di produzione è probabile, ma forse non nelle proporzioni di altre zone di bassa pedemontana della provincia. I problemi sono venuti dalle piogge primaverili e poi dagli sbalzi termici in autunno, vedremo a fine raccolta quanto avranno influito. Positivi il livello qualitativo e la pezzatura, così come il prezzo, che tende a salire, grazie anche ai maggiori consumi rilevati nelle ultime settimane».
Aggiunge Bozzolo: «Il fatto che nei castagneti secolari, ove ha prevalso una logica di mantenimento di antiche cultivar selezionate appositamente dai nostri avi per resistere a condizioni climatiche estreme, spesso in condizioni di anti economicità grazie esclusivamente alla passione e alla tenacia dei castanicoltori locali (visto che gli aiuti per le manutenzioni straordinarie, quali le potature, sono praticamente inesistenti da ormai troppo tempo), dovrebbe farci tutti riflettere sul tipo di castanicoltura che vogliamo sostenere per il futuro dei nostri territori».

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