A due anni dallo scoppio del conflitto in Ucraina, le dinamiche globali del cibo si trovano al centro di un intenso processo di trasformazione, con i mercati internazionali caratterizzati da forti spinte inflattive e vulnerabilità.
Queste tensioni hanno generato nel breve termine un aumento vertiginoso dei costi di produzione, incertezze sugli approvvigionamenti e sulle quotazioni dei prodotti agricoli, preoccupazioni sui flussi commerciali internazionali.
Gli effetti non si sono fatti attendere anche nel mercato italiano con evidenti ripercussioni sulla quotidianità del tessuto produttivo locale. Infatti, l’impennata dei costi di produzione ed energetici e le oscillazioni dei prezzi hanno impattato fortemente sull’anello primario e più debole della filiera, le aziende agricole. Una situazione che ha reso ancor più insostenibile la forbice tra i prezzi riconosciuti agli agricoltori e quelli invece pagati dai consumatori finali.
Il prezzo del pane è cresciuto di circa 14 volte rispetto alla quotazione riconosciuta agli agricoltori per il frumento tenero necessario per la panificazione. Nel caso della carne bovina il prezzo dagli allevamenti allo scaffale è salito di ben 8 volte, 4 per la carne suina. E la distanza tra prezzi alla produzione e prezzi al consumo è diventato decisamente considerevole in molti altri settori, dalla frutta al latte.
Dunque le aziende del comparto agricolo, più di quelle operanti in altri settori, hanno pagato cara la crisi innescata dalla guerra in Ucraina, che si è riversata tanto sulle quotazioni dei prodotti energetici quanto su quelle dei principali mezzi tecnici di produzione agricola.
L’indice dei prezzi medi dell’energia della Banca Mondiale ha segnato nel 2023 una crescita del 103% rispetto a prima del confitto, mentre il gas naturale è aumentato del 126%.
Il rialzo delle quotazioni del gasolio agricolo tra il 2022 e il 2023 continua a riflettersi sui prezzi attuali, che rimangono del 53% più alti rispetto al 2020, anno di avvio della crisi pandemica.
Discorso analogo per le quotazioni dei fertilizzanti, che sono cresciute esponenzialmente sin dalla crisi Covid. In Italia i prezzi di questi prodotti hanno fatto registrare dei picchi nel 2022, anno dell’invasione ucraina, per poi subire un alleggerimento anche se continuano ad attestarsi su valori decisamente più alti rispetto al passato. Mediamente le quotazioni dei principali fertilizzanti nel 2024 si attestano su valori del 66% superiori al 2020.
Come se non bastasse, si è avuta nell’ultimo biennio un’impennata dei prezzi internazionali dei principali prodotti agricoli e derivati come olio di girasole e cereali utilizzati nel processo produttivo dell’industria alimentare o cruciali per l’alimentazione zootecnica. Le quotazioni 2022 per l’olio di girasole sono state in media del 103% più alte rispetto al 2020, per il mais maggiori del 109%. Questi rincari si sono trasformati in un evidente appesantimento dei bilanci degli allevamenti per i quali il mais rappresenta una voce di costo importante per l’alimentazione del bestiame.
“Il problema – denuncia Coldiretti Cuneo – sta nel fatto che l’incremento dei costi dei fattori produttivi ed energetici è stato solo in minima parte assorbito dall’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli e alimentari, come emerge chiaramente dall’analisi dell’indice dei prezzi della Fao per carne, cereali e prodotti lattiero-caseari”.