Difficile parlare della morte in un mondo che tende ad allontanarla dai propri pensieri. L’autrice non è tenera con questi atteggiamenti: li mette al palo subito dichiarando che siamo tutti “terminali”, destinati a fermarci. Avendo questa consapevolezza, certo non facilmente assimilabile, mette per scritto quanto ha provato negli anni passati accanto alla mamma: “per me scrivere è stata occasione per restare presente e fare luce”. Tutto il libro sembra costruito per scavare dentro di sé, per cogliere le sfumature di quanto vive e rileggerne l’essenzialità.
Il “fare luce” è esigenza umana a fronte di un’esperienza che pone davanti al limite estremo. Un’esigenza di chiarezza che ricompone rapporti, mentre cerca equilibri interiori.
Le pagine appaiono un diario intimo che non si chiude nell’ordine cronologico. Con le parole stesse della mamma, l’autrice riporta “la Morte alla Vita”. Le maiuscole non sono marginali. Se ognuno è disposto a concederla alla seconda, per la prima si fa fatica a riconoscerla “compagna”. Eppure, aggiunge, la vita è “duale”. Contempla, sebbene in proporzioni diverse, tristezza e gioia, dolore e piacere, buio e luce: “se escludiamo una, perde di significato l’altra”. È il cammino di ricerca di significato a distendersi lungo queste pagine. Difficile pensare come un dolore possa diventare “significativo” per l’esistenza. Più facile che la travolga. È però a questo livello che si deve tendere per evitare il fallimento, sostiene l’autrice, portando la propria esperienza sui “passaggi” compiiuti davanti alla malattia, da “ritrovarsi” in essi.
“Siamo accumulatori seriali di teoria”, ma il dolore è qualcosa di molto concreto. Davanti al dolore che ci abita, questo diario ammette “è inutile raccontarsela”. La mamma accettò la chemio, ma aggiunge “di malavoglia”. Ricorda che non ci sono espressioni di allegria sul suo volto, che fino in fondo ama tenacemente la vita. L’autrice stessa prova su di sé il dolore dell’essere accanto e del distacco.
Eppure il contraltare affiora ovunque nel non lottare contro la malattia che non è passivo abbandono sfiduciato, bensì consapevolezza che “ha lavorato per sfruttare al meglio il tempo che aveva”, per essere ancora una volta lei stessa accanto alla famiglia nel suo ultimo “passaggio” oltre il quale è solo la fede a poter parlare.
Passaggi
di Barbara Giroldo
Editrice ArabaFenice
euro 17