Luigi Mainolfi è nato a Rotondi (Avellino) nel 1948. Vive e lavora a Torino. Noto a livello internazionale, Mainolfi è uno dei principali rappresentanti della cosiddetta scultura post-concettuale, impostasi al principio degli anni Ottanta.
Sin dagli esordi, ha elaborato sculture utilizzando materiali poveri e naturali come terracotta, gesso, legno, pietra lavica e fusioni in bronzo. Dopo gli studi di pittura all’Accademia di Belle Arti di Napoli è attratto dal panorama artistico e culturale torinese e nel 1973 vi si trasferisce. I primi lavori, compiuti fra il 1972-76, indagano il corpo e il gesto: nelle prime esposizioni e performance, ha presentato calchi del proprio corpo in gesso che lascia consumare nell’acqua facendo sì che la scultura si trasformi e si degradi o li fa precipitare dall’alto al suolo. Tra il 1979 e 1980, ha realizzato la Campana alla galleria Tucci Russo di Torino e La sovrana inattualità al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano nel 1982. Nel decennio che segue, ha proposto grandi terrecotte, con paesaggi e soggetti di ispirazione fiabesca. Ha partecipato alla Biennale di Sao Paulo nel 1981 e ha esposto Alle forche caudine a “Documenta 7 di Kassel” nel 1982. Sempre nel 1982, è presente alla Biennale de Paris con Le basi del cielo (1981-82) e alla Biennale di Venezia nel 1986 con il bronzo Trionfo. È il disegno ad accompagnare tutta la produzione di Mainolfi. Nel 1987, ha vinto il “Superior prixe” al 5th Henry Moore G.P. in Giappone, con il grande bronzo Città gigante nel 1986 e ha ottenuto il premio Michelangelo per la scultura nel 2007, conferitogli dalla città di Carrara.
“Per Mainolfi l’essenza profonda, primaria, animistica della natura nella prospettiva dell’esperienza umana è ancora oggi legata ai territori che affondano le loro radici in una dimensione spazio-temporale di straniante fantastico incanto: dimensione elaborata dall’uomo per esorcizzare le sue paure dell’ignoto e per dare figure e senso alle meraviglie inquietanti del mondo in cui è inesorabilmente immerso – spiega Frncesco Poli -. È proprio attingendo a questo straordinario serbatoio di suggestioni che Mainolfi, a partire dalla fine degli anni ’70, ha fondato i presupposti fondamentali del suo linguaggio espressivo caricandolo di nuove energie e tensioni plastiche, riscoprendo un’attitudine figurativa che sembrava ormai senza futuro, e rimettendo in gioco con una incredibile freschezza formale materiali classici, come la terracotta, la pietra e il bronzo considerati come esauriti dal punto di vista delle potenzialità espressive. E ci è riuscito mettendo in atto un originale cortocircuito estetico e culturale (postmoderno ma niente affatto citazionistico) fra echi mitici e ancestrali e continua sperimentazione di stretta sensibilità contemporanea.
I suoi lavori fin dall’inizio hanno abbandonato i tradizionali piedestalli per abitare liberi nell’ambiente: si installano e proliferano sui pavimenti e sulle pareti; si sviluppano come fantastici organismi biomorfici e crescono come stalagmiti, colonne o pilastri, anche fino al soffitto; si concretizzano in oggetti (anche sonori) su tavoli; si gonfiano come sfere e si distendono come paesaggi sulle superfici di pannelli a muro. La sua scultura si configura come una narrazione di un mondo favoloso animato da bestie e personaggi gioiosamente mostruosi (orchi, orchesse, apesse, elefantesse, fauni, pseudo-gazzelle e altri); da paesaggi onirici, da alberi e vulcani e montagne; da soli giganteschi e pianeti; da proliferanti città, da strani oggetti, campanacci e battacchi e cozze…
Per molti versi si può considerare l’insieme dell’opera dell’artista come una grande variegata espressione organica unitaria che cresce senza interruzione; articolandosi e diversificandosi attraverso un continuo processo metamorfico che prende corpo nei materiali più diversi, dalla terracotta al bronzo, dalla pietra al legno, dal rame al ferro. Le forme (che sono impregnate di valenze fantastiche, di riferimenti a leggende e favole popolari che affondano nella notte dei tempi) sembrano nascere e concretizzarsi in modo quasi spontaneo, autogenerativo, lontane dalla fissità di ogni modello esistente. Per Mainolfi, ‘la scultura nasce, si espande, si gonfia, si agita: vuole diventare un’onda, un vento, un vulcano, qualcosa di animato”.
Nel 1990, gli è stata assegnata una sala personale alla Biennale di Venezia, dove ha installato Sole nero (acqua, cera, legno, 1988-89). Negli anni successivi, fra le sue principali personali e retrospettive si ricordano: 1992, Galleria d’Arte Contemporanea, Rimini; 1994, Villa delle Rose, Galleria Civica d’Arte Moderna, Bologna, e Galerie Hlavniho mèsta Prahy, Praga; 1995, Hotel de Galliffet, Paris; 1995, Promotrice di Belle Arti, Galleria Civica d’Arte Moderna, Torino; 1996-97, Museo Civico di Castelnuovo, Maschio Angioino e Museo Diego Aragona Pignatelli Cortes, Napoli. Nel 2001, l’artista è stato scelto come rappresentante dell’Italia per uno scambio tra il nostro paese e il Giappone. È approdato al Museo d’Arte Contemporanea di Sapporo, dove ha realizza per il parco Mainolfi Swims in the water of Hokkaido e Colonne di Sapporo. A conferma dell’interesse della critica nei confronti del suo percorso artistico, ha ricevuto diversi riconoscimenti ufficiali, come la nomina a membro dell’Accademia Nazionale di San Luca nel 2007. In occasione dei festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia, il Palazzo Madama di Torino ha ospitato da aprile a novembre 2011, nell’Atrio Juvarriano, una grande installazione dell’artista dal titolo Torino che guarda il mare. Nel 2022 a Cuneo gli è stata dedicata la mostra della rassegna “GrandArte 2022 – Help – humanity, ecology, liberty, poitics” con il titolo “Il respiro della Terra” organizzata nel Complesso Monumentale di San Francesco.
Un’opera di Luigi Mainolfi viene inauguraata oggi, domenica 22 settembre a Rittana davanti al Centro Civico e Culturale (ex Casa Canonica), È una nuova scultura bronzea. Con l’opera viene inaugurata anche una mostra di disegni inediti dell’artista, curata da Olga Gambari.