Danila Ghigliano è pittrice, scultrice e incisora, nata a Mondovì ma vive e lavora a Torino. Ha studiato a Cuneo e Torino; qui frequenta l’Accademia Albertina di Belle Arti, perfezionandosi poi in Tecniche grafiche a Venezia. I suoi maestri, a cui va sempre la sua gratitudine, sono stati Francesco Franco e Mario Calandri, Enrico Paulucci e Mario Davico. Ha appreso molto anche da Riccardo Licata. Individuata tra i migliori incisori delle accademie a livello nazionale, premiata con Medaglia d’oro del presidente della Camera dei Deputati, e suoi lavori sono stati acquisiti dal Gabinetto Nazionale delle Stampe in Roma. Ha portato avanti la propria carriera espositiva e di ricerca nel campo artistico in parallelo alla docenza.
Dall’incisione, pur senza mai abbandonarla, è trasmigrata verso la scultura disegnata e dipinta, in un’aspirazione inconfessata a un’arte totale, e indivisibile, nella quale tecniche diverse si confrontano e si fondono per far emergere, intrecciate, materia, forma, segno, colore. La carta, il cartone, la cartapesta, il legno, il rame, lo zinco, sono le basi molteplici sulle quali incide, disegna, tratteggia, impasta, scolpisce, colora: fonti preziose sono la letteratura, il cinema, la musica, e, soprattutto, l’opera di artisti del passato recente o lontano, suoi compagni di viaggio nel cuore della poesia in forma d’arte. Dopo il suo debutto da giovanissima ha esposto, con mostre personali, in gallerie private e in musei pubblici in Italia (Torino, Milano, Venezia, Genova , e altre località) e fuori dei confini nazionali (Olanda, Francia, Scozia, Croazia , Portogallo, Turchia). Sue opere sono conservate in collezioni pubbliche e private.
Al centro della sua ricerca vi sono la letteratura, il cinema, la musica e il viaggio, praticato ed esplorato attraverso gli scrittori, elementi tradotti in numerosi cicli tra i quali si annoverano i Cahiers de voyage, il Libro d’artista e le Scritture d’artista, esperienze sviluppate anche attraverso lo studio del segno calligrafico.
le sue opere sono minimi accadimenti scenici o piccole storie per gli occhi e la mente, in cui compaiono segni e strutture del linguaggio poetico metonimico.
“Più precisamente – scrive Enrico Perotto – si è di fronte a composizioni polimateriche frutto di una personale “grammatica della fantasia”, attraverso cui si accede ai nostri sogni illuminati da lune bianche e si visualizzano i desideri reconditi della psiche umana. Le sue opere, dunque, si possono leggere come liriche invenzioni figurali, in apparenza di piccoli teatri di mnemotecnica immaginativa”.
“Grazie alla memoria”, infatti, come ci ha ricordato Alberto Savinio, “noi nel mirare le im- magini, vediamo ciò che furono e ciò che saranno: è la poesia dello sguardo”.
Così, nelle installazioni di Danila Ghigliano, in cui sono inclusi il disegno a matita, il pastello, l’incisione, il segno colorato e la pennellata su papier mâché (con o senza cartone, gesso, ferro e legno), assistiamo a una correlazione di racconti mitopoietici, in cui si connettono parole e immagini e si evocano visioni e sensazioni di accadimenti che riflettono le aspettative più intense ed emozionanti dell’animo umano.
“Ecco i volti dell’amore – continua Perotto – ricercato come sentimento che supera le distrazioni e le insensibilità del mondo esteriore, che trasforma le nostre solitudini e ci trasporta in un altrove sconosciuto, alla ricerca di una compiuta pienezza del nostro essere-nel-mondo. Ecco i volti di esseri umani che vivono spesso e volentieri la loro esistenza in modo inconsapevole, subendo condanne per torti di cui non si ha misura e che si trasformano in una lenta nebbia soffocante che cala ineso- rabile sulla nostra anima. Ed ecco i volti del mito come rispecchiamento dell’invisibile o della bellezza di ciò che è possibile, che ci permette di superare la soglia del visibile e di entrare nella dimensione della percezione eidetica, cioè nelle essenze dei fenomeni reali. Possiamo volare al disopra dei nostri vissuti, oltrepassando le frontiere delle immagini terrene, pre-disponendoci alla percezione di tutto ciò che non è “qui e ora”, ma che si trova in uno spazio e in un tempo non misurabili oggettivamente, dove, insomma, si può guardare oltre lo specchio delle cose sensibili, ma ingannevoli”.