Guido Villa è nato a Vercelli nel 1943; vive e lavora tra il Monferrato e il Salento. A Vercelli frequenta l’Istituto di Belle Arti, approfondendo lo studio di grandi artisti come Tiziano, Tintoretto, Botticelli, Antonello da Messina e Rembrandt, eseguendo copie delle loro opere per apprendere e perfezionare l’uso degli impasti cromatici e della luce. Dopo la formazione accademica a Brera, ha intrapreso una lunga carriera di artista figurativo che lo ha portato a esporre in Italia e all’estero. Molto attento ai fatti sociali e alle problematiche contemporanee, è stato da subito interessato alle questioni delle migrazioni. Ha lavorato come scenografo per il teatro d’opera è si è misurato con opere di vaste dimensioni. Ha vissuto a lungo a Milano e in Africa. Attualmente, risiede nel Monferrato e, parte dell’anno, nel Salento. Dagli anni Sessanta ad oggi partecipa a numerosissime mostre personali e collettive, sia in Italia sia all’estero, vincendo molti premi. Si occupa anche di grafica, collaborando con la Casa Editrice Garzanti. Molte le sue mostre, una particolarmente significativa a Cuneo a Palazzo Samone nel 2016 “Migranti, da una poesia di Derek Walcott”.
Villa ha vissuto a lungo trascorrendo, assieme alla moglie Paola, parecchi mesi all’anno in Africa, in Kenya, a Isiolo, nella cui chiesa cattedrale cattolica ha realizzato, nel corso di diversi anni, un colossale affresco dedicato, potremmo dire non a caso, all’ Esodo biblico che diventa anche paradigma di tutti gli esodi a seguire. Un’esperienza africana, non vissuta da turista, né, tanto meno, da “cacciatore bianco” ma, piuttosto, nel pieno di un’Africa difficile, aspra, esposta a tutte le sue contraddizioni.
La sua pittura è prorompente e dominata da un’esecuzione veloce ed impetuosa, in cui istintivamente e di getto la mano costruisce le immagini, usando veloci pennellate, nonché segni vigorosi, avvolgenti e dall’andamento fluido e sinuoso, che l’artista sovrappone e accosta fino a colmare interamente il vuoto del supporto bianco. Crea così opere che conducono lo spettatore ad osservarle, muovendosi di fronte ad esse in una sorta di intima danza, alla ricerca dell’angolazione giusta.
In realtà non c’è una sola o giusta angolazione da cui ammirare le opere di tale artista, data la ricchezza e la pienezza delle scene ritratte: ogni immagine, forma e segno rimane riconoscibile e intellegibile in sé e per quello che rappresenta, ma – fondendosi e confondendosi le une nelle altre – creano un turbinio cromatico dalle suggestioni astratte, in cui si coglie un “oltre” carico di emozioni, messaggi e profondi significati.”Nei 260 metri quadrati della superficie pittorica, – scrive Gianfranco Ravasi – che avvolge come in un manto la “Cattedrale dell’Esodo” di Isiolo in Kenya, Villa ha per certi versi ripetuto il miracolo degli artisti medievali. Essi, infatti, trascrivevano la Bibbia ora su “pagine” di pietra attraverso bassorilievi e complessi statuari, ora su “codici” murali attraverso affreschi, tele, tavole, vetrate. L’assemblea dei fedeli, che aveva assistito a quella nascita prodigiosa di scene, di immagini, di figure e di colori, durante le celebrazioni liturgiche leggeva dal vivo le Scritture sacre, la Biblia pauperum, come verrà chiamata quando approderà anche sulla pergamena e sulla carta. Con lo stesso stupore i cristiani di Isiolo (e persino i musulmani) hanno seguito la mano del pittore che impastava i colori, abbozzava profili, generava quelle scene immerse nella luce abbacinante dell’Africa, nello spettro cromatico così sontuoso eppur severo, tipico di quegli orizzonti. Gli otto pannelli diventano, così, un’esegesi e una catechesi visiva degli eventi narrati nel libro dell’Esodo, il secondo della Bibbia”.
Dopo aver lavorato a lungo sul ritratto, dedicandosi soprattutto a poeti e scrittori, sovente da lui incontrati nel suo lavoro di grafico nella casa editrice Garzanti, a Milano, ha avuto la ventura di conoscere il Premio Nobel caraibico, di lingua inglese, Derek Walcott che ha posato per lui e che ha autorizzato e approvato le illustrazioni ad una sua lunga poesia dedicata, appunto, al tema delle migrazioni.
“Guido Villa è, non da oggi, in un periodo in cui i fatti clamorosi e drammatici dei quali siamo testimoni richiamano urgenze e prese di posizione a vari livelli, ma da sempre, un artista sociale. – scrive Roberto Baravalle -La sua attenzione verso il mondo degli ultimi e verso le problematiche sociali si intreccia e si incastona dentro un percorso di artista colto che lo ha portato a realizzare, nel tempo, veri gioielli come ad esempio una stupenda serie di illustrazioni dedicate al grande poeta americano Walt Whitman (opere che sono state esposte persino al Palazzo dell’ONU a New York e in giro per prestigiose università americane) e a lavorare per le scenografie di opere liriche, con maestri del calibro di Gianandrea Noseda e Sandro Gorli. Negli anni, Villa si è trovato a riflettere sul tema della violenza, della pena di morte, dell’11 Settembre, della Resistenza”.
“Villa è appunto un poeta delle immagini, un pittore che della sua pittura già in molte occasioni ha fatto uno strumento di formidabile suggestione per investire temi e problemi degli uomini d’oggi… Perché per lui dipingere, come in questo caso, è un lavoro soprattutto d’anima e di coscienza, un racconto etico di reazioni e di sdegni, di compartecipazioni e compatimenti, di identificazioni profonde e complessive. Guardiamo con attenzione le livide e quasi monocrome atmosfere delle immagini di questa mostra e di questa cartella. L’innesco è dato da un verso, da una frase, da una figura letteraria, ma la mano e l’immaginario sanno dare carne, nervi, sensi e sentimenti allo spazio narrante, al flusso del racconto iconico, alla trasfigurazione espressiva (e quasi espressionistica) della composizione e delle anatomie tiratissime, smunte, scavate di segni dolenti. C’è poco altro da dire se non l’efficacia quasi sonora di questi corpi, il terribile clamore del loro pauroso silenzio” così Giorgio Seveso.