Era il convitato di pietra nel processo che deve far luce sulle responsabilità per il crollo del ponte di Fossano avvenuto il 18 aprile 2017 e alla fine la questione (che era stata lasciata in sospeso all’inizio del dibattimento e su cui il giudice aveva deciso di pronunciarsi all’esito dell’istruttoria) è emersa alle arringhe finali delle difese, esposte nell’ultima udienza del processo in corso al tribunale di Cuneo, prima della sentenza attesa per il 24 settembre. Si tratta dell’utilizzabilità delle consulenze dei periti del pubblico ministero nei confronti di alcuni imputati che, al momento in cui venne eseguita “l’autopsia” del ponte nel 2017, non erano indagati e quindi non poterono partecipare con i loro difensori agli accertamenti tecnici disposti dal giudice. Sono gli imputati del troncone dell’inchiesta relativo ai lavori del 2006 durante i quali vennero sostituiti alcuni giunti ammalorati, e cioè l’amministratore delegato della ditta Per.Car. con la sua direttrice dei lavori e il direttore del centro manutentorio dell’Anas che aveva funzione di controllo sulla correttezza dei lavori svolti. Per gli avvocati Marco Landolfi (difensore di G. A. dipendente Anas) e Claudio Sgambato (difensore di M. G. e M. G. V. della Per.Car.), l’istruttoria ha pacificamente dimostrato che se accertamenti tecnici sui giunti sono stati eseguiti in quella sede, allora dovevano essere individuati indagati e andava consentito loro di difendersi nelle sedi opportune. “Delle due l’una – ha sottolineato l’avvocato Landolfi -: o non era stato fatto alcun accertamento sui giunti, o se è stato fatto si doveva chiamare la difesa delle persone indagate”. Già questo per le difese dei tre imputati basterebbe al pronunciamento di un’assoluzione, ma c’è anche il dato tecnico a favore dei loro assistiti, e cioè che era stato uno dei consulenti dell’accusa a sostenere che se i cavi che tenevano insieme la struttura fossero stati correttamente ricoperti di boiacca isolante, non si sarebbe verificata alcuna infiltrazione d’acqua. “Si è detto che l’impermeabilizzazione difettosa sarebbe una concausa perché avrebbe accelerato la corrosione, ma anche il consulente ha detto che non esistono tecniche che determinino in maniera certa il momento di innesco e il processo di avanzamento della corrosione”, ha concluso Landolfi. “Resta insuperato il dubbio sul nesso di causalità perché mancano dati certi sulle circostanze di fatto – ha ribadito l’avvocato Sgambato -. Il problema di impermeabilizzazione riguardava tutti i giunti, non solo quelli sostituiti ed è quindi impossibile determinare se questo risalisse al 2006 o fosse antecedente”. Di responsabilità in capo all’Anas ha invece parlato l’avvocato Calabrese difensore di M. T., capocantoniere della ditta Grassetto che aveva costruito il ponte: “Già dal 2010 erano state evidenziate criticità sulle fessure, sulle infiorescenze, sull’abbassamento del livello dell’asfalto. Eppure non sono state fatte segnalazioni perché non c’erano controlli trimestrali. Se ci fossero state le dovute segnalazioni da parte di Anas si sarebbero eseguiti controlli mini invasivi”. Per quanto riguarda il proprio assistito poi, l’avvocato ha fatto presente che il capocantiere M. T. era all’epoca un neoassunto alla Grassetto, “l’ultima ruota del carro che non firmò neanche i verbali di collaudo della struttura perché non aveva nessuna funzione di garanzia e controllo”. Per M. S., dipendente Anas all’epoca coadiutore del direttore dei lavori A. A. ha infine parlato l’avvocato Pierluigi Ciaramella, il quale ha sottolineato con forza le carenze dell’indagine svolta dalla Procura, da cui sono stati esclusi tutti gli alti vertici della catena di comando dell’Anas, per andare a indagare un neoassunto, “che secondo la pratica in vigore all’epoca in Anas, affiancava un superiore per imparare il mestiere. Un neoassunto il cui compito era quello di prelevare i campioni per farli analizzare, senza alcuna funzione di controllo, e infatti non firmava nulla. Il fatto è che l’Anas non aveva predisposto una direzione dei lavori idonea a questo scopo; era una struttura scalcagnata che mandava un ingegnere, un geometra e un praticante a controllare un’opera del genere a puntate. Forse andava rivisto il trattamento di riguardo nei confronti di Anas. Da parte nostra abbiamo prodotto tutti i verbali delle visite di M. S. sul cantiere e tutte riguardavano solo il prelievo di campioni, nessuna funzione di controllo sulla struttura in corso d’opera e quindi chiediamo l’assoluzione per non aver commesso il fatto”.