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Giovedì 14 novembre 2024

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Crollo ponte di Fossano, parola alle difese

In tribunale hanno parlato gli avvocati di sette imputati tra professionisti delle ditte che realizzarono il viadotto e impiegati Anas incaricati dei controlli

La Guida - Crollo ponte di Fossano, parola alle difese

Dopo le richieste di assoluzione e di condanna avanzate dall’accusa nel corso della precedente udienza del primo luglio, nel processo per il crollo del ponte di Fossano avvenuto il 18 aprile 2017 la parola è passata alle difese. In tribunale hanno parlato gli avvocati di 7 imputati, tra professionisti impiegati delle ditte che realizzarono il viadotto e impiegati Anas incaricati dei controlli sulla realizzazione della struttura e dei controlli periodici. Per tre di questi, i cantonieri addetti ai controlli esterni sulle campate del ponte, era stata la stessa Procura a chiedere l’assoluzione al termine della propria requisitoria. I tre, C.B. e C.D.C. difesi dall’avvocato Paolo Dotta, e V.P. difeso dall’avvocato Franco Papotti, erano accusati insieme agli altri di disastro colposo per aver omesso di segnalare le infiorescenze sotto alcune campate del ponte, indicatrici secondo l’accusa del bisogno di controlli di livello più approfondito e che avrebbero potuto impedire il crollo della struttura. In realtà è stata l’istruttoria stessa a dimostrare che quelle infiorescenze erano comparse dove la struttura era sana, mentre erano assenti dove il ponte crollò; erano infatti i segni di una reazione tra l’acqua e la malta cementizia in cui erano immersi i cavi che tenevano insieme le campate del ponte. Quella malta, la boiacca, non era arrivata a coprire tutti i cavi della struttura e l’acqua che era penetrata all’interno delle guaine che li contenevano, piano piano li corrose fino a romperli.

La difesa ha sottolineato che secondo le direttive ricevute dall’Anas, i cantonieri non erano tenuti a segnalare le infiorescenze, considerate di scarso interesse ai fini della tenuta della struttura, e se anche le avessero segnalate, i controlli si sarebbero concentrati dove la struttura  era sana e non dove poi crollò. Per M.C. ingegnere dipendete dell’impresa Grassetto, controllata dall’ATI che si era aggiudicata l’appalto ha parlato l’avvocato Nicola Gianaria, il quale ha sottolineato che il ruolo della impresa Grassetto era quello di fornire il cemento alla ditta Ing. Franco che poi si era occupata della sua miscelazione per ottenere la boiacca e dell’iniezione di questa miscela all’interno delle guaine che contenevano i tubi in modo da isolarli dall’esterno, “secondo i consulenti dell’accusa la boiacca era troppo fluida, troppo porosa e l’acqua riuscì a penetrarla corrodendo i cavi. Ma qual’è stato l’innesco del fenomeno di corrosione, i lavori del 1992 o la sostituzione dei giunti del 2006 con la mancata impermeabilizzazione? Neanche i consulenti dell’accusa hanno saputo dare una risposta a questa domanda e se non sappiamo quando si è innescata la corrosione, non possiamo dire chi è il responsabile”. Inoltre il proprio assistito non aveva una funzione di garanzia sulla realizzazione dei lavori, cosa che competeva al suo superiore, il direttore tecnico che  aveva il potere di far rifare il lavoro se avesse ritenuto che fosse stato eseguito male.

L’avvocato Ivaldi in rappresentanza di R.R. e M.F. rispettivamente geometra e ingegnere della Ing.Franco ha ribadito la richiesta di assoluzione per M.F. già avanzata dall’accusa in quanto l’ingegnere all’epoca neoassunto, aveva solo compiti di trasmissione dati sulle operazioni di cantiere, e ha chiesto l’assoluzione anche per il geometra della ditta che iniettò la boiacca nelle guaine poiché l’istruttoria aveva fornito solo alcune ipotesi sul crollo del viadotto senza fornire alcuna certezza su quale sia stata la causa scatenante, “la mancata iniezione di boiacca nella costruzione del ponte nel 1992 o i lavori di sostituzione dei giunti nell’appalto del 2006? Le deformazioni iniziano dopo il 2006 e forse è questa la più probabile, anche se siamo sempre nel campo delle ipotesi”. Assoluzione è stata chiesta anche dall’avvocata Roberta Biei per l’ingegnere A.A. direttore dei lavori per l’Anas, “per l’accusa era il direttore dei lavori il responsabile garante della corretta esecuzione dei lavori, mentre la figura apicale era l’ingegnere capo che oltre a designare il direttore dei lavori, forniva anche le direttive sui lavori da controllare. Il direttore dei lavori aveva un ruolo di alta sorveglianza non di controllo quotidiano sulle opere in corso. In base agli ordini dell’ingegnere capo aveva seguito la fasi di esecuzione della tesatura dei cavi, operazione più delicata e complessa che richiedeva verbali specifici, non l’iniezione di boiacca che era considerata un’operazione elementare”. Il prossimo 15 aprile parleranno le restanti difese.

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