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Domenica 22 dicembre 2024

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Crollo di Fossano, non dolo ma sciatteria: chieste sette condanne

Dodici gli imputati, per gli altri cinque la richiesta di assoluzione; fissati risarcimenti complessivi per 2.700.000 euro

Fossano

La Guida - Crollo di Fossano, non dolo ma sciatteria: chieste sette condanne

La causa principale del crollo del viadotto di Fossano avvenuto il 18 aprile 2017 fu la mancanza di pasta cementizia all’interno delle guaine che dovevano isolare i cavi di precompressione che tenevano insieme le campate del ponte: senza l’isolamento necessario, l’acqua penetrò all’interno delle guaine fino a corrodere completamente i cavi, tanto da provocare la loro rottura e il crollo della struttura. Accanto alla causa principale ci fu però anche una concausa, il fattore che accelerò questo processo di corrosione, ovvero i lavori di sostituzione dei giunti di dilatazione e di impermeabilizzazione fatti nel 2006; l’esecuzione non corretta di questi lavori avrebbe contribuito ad accelerare la corrosione fino al crollo del viadotto, avvenuto, miracolosamente, in un momento in cui nessun veicolo passava sopra o sotto la struttura. In realtà in quel momento un veicolo sotto il viadotto c’era, ed era la vettura di una pattuglia di Carabinieri in servizio di controllo sulle strade: i due militari erano fortunatamente fuori dall’abitacolo al momento del crollo: “Il vano motore fu ritrovato un metro sotto terra schiacciato dalle tonnellate della struttura collassata”, ha ribadito in aula Attilio Stea, titolare dell’inchiesta insieme al collega Mario Pesucci, presentando le proprie conclusioni al giudice Giovanni Mocci. Al termine di un lungo e articolato processo quindi, l’accusa è giunta alla conclusione che l’assenza di quella pasta cementizia che avrebbe dovuto proteggere i cavi di precompressione dagli agenti atmosferici non era stata fatta a regola d’arte, così come l’impermeabilizzazione eseguita nel corso dei lavori di sostituzione dei giunti nel 2006: “Errori nella realizzazione delle canalette di scolo delle acque e nella stesura dell’impermeabilizzazione. Non siamo in presenza di situazioni dolose, ma di sciatteria nella realizzazione dei lavori, sia nel primo appalto di costruzione del ponte sia nei lavori del 2006”, ha sottolineato il dottor Stea. E allora per l’accusa i responsabili di quel disastro colposo (che come ha spiegato il dottor Pesucci, “per la giurisprudenza è un avvenimento di tale gravità da compromettere l’incolumità pubblica”) non potevano che essere coloro che costruirono il ponte e che su di esso eseguirono i successivi lavori, e i dipendenti Anas che avevano il compito di garantire la corretta esecuzione di quei lavori. In dodici erano stati rinviati a giudizio: M. C. e M. T. rispettivamente ingegnere e geometra dell’impresa Grassetto, controllata dall’Ati che si era aggiudicata l’appalto; l’ingegnere M. F. e il geometra R. R. della Ing. Franco & C., cui era stata demandata la fornitura e la messa in opera degli elementi prefabbricati, rispettivamente responsabile del cantiere e capocantiere. Insieme a loro sono finiti a processo anche i funzionari dell’Anas l’ente appaltante e che con l’ingegner A. A., direttore dei lavori, e il geometra M. S., coadiutore, doveva controllare la corretta esecuzione dei lavori. Per il secondo troncone dell’inchiesta, quello sui lavori del 2006, erano stati rinviati a giudizio M. G., amministratore della Per.Car che si era aggiudicata l’appalto; M. R. V., sua responsabile tecnica; G. A., ingegnere funzionario Anas con l’incarico di controllore dei lavori. Un terzo fascicolo dell’inchiesta aveva portato al rinvio a giudizio anche di altri tre dipendenti dell’Anas: il capo nucleo V. P. con i capocantonieri C. B. e C. D. C., accusati di non aver segnalato le efflorescenze in prossimità dei tubi di sfiato. Per l’accusa però l’istruttoria aveva evidenziato che non tutti gli imputati potevano essere considerati responsabili di quanto accaduto; non lo erano i tre cantonieri addetti ai controlli esterni per i quali è stata chiesta l’assoluzione in quanto, in osservanza delle direttive ricevute, non dovevano segnalare le macchie di umidità come indicatori di controlli di livello superiore; e se anche controlli fossero stati eseguiti nei punti interessati dalle efflorescenze, si sarebbe visto che in quelle zone le guaine erano state correttamente iniettate con la pasta cementizia. Era proprio nel punto dove il ponte è crollato che non c’erano macchie di umidità, perché non essendoci boiacca nemmeno c’era traccia della reazione tra cemento e acqua. Assoluzione è stata chiesta anche per M. F., ingegnere all’epoca neoassunto alla Ing. Franco che aveva solo compiti di ufficio e di trasmissione dei dati sulle operazioni del cantiere, e per M. G., l’amministratore della ditta che aveva avuto l’appalto per i lavori del 2006 e che aveva completamente delegato la sua responsabile tecnica. Per gli altri sette imputati l’accusa ha chiesto invece la condanna; due anni per M. C. e M. T. della impresa Grassetto, e per i funzionari Anas A. A. e M. S. Un anno e sei mesi è stato chiesto per il geometra della Ing. Franco R. R. Per quanto riguarda i lavori del 2006, l’accusa ha chiesto la condanna a un anno e due mesi per M. R. V. della ditta Per.Car che aveva realizzato l’opera e per G. A. dell’Anas.  Anche se in udienza era emerso che a quell’epoca i funzionari Anas seguivano contemporaneamente numerosi i cantieri dislocati su aree molto vaste e impossibili da controllare tutti i giorni, per l’accusa avevano comunque una grande responsabilità e un grande potere: “Dovevano controllare che l’esecuzione dei lavori fosse conforme alle norme e avevano anche il potere di far rifare i lavori se non svolti a regola d’arte. Se le condizioni non c’erano avrebbero dovuto segnalare o rinunciare all’incarico”, ha sottolineato Pesucci. E fra le parti civili costituite in giudizio contro i sei imputati esecutori dell’opera c’era proprio l’Anas che ha chiesto la condanna degli imputati e un risarcimento di 1.144.000 euro oltre a 60.000 euro di danno d’immagine. Anche la Provincia di Cuneo si è associata alla richiesta di condanna con un risarcimento di 1.109.000 euro e l’Avvocatura dello Stato con la richiesta di un milione di euro. L’8 luglio sono attese le arringhe delle difese.

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