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Martedì 25 giugno 2024

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Buone e cattive notizie dal voto e dal non voto

Un'analisi dei risultati delle elezioni europee, regionali e comunali dell'8 e 9 giugno scorsi

Cuneo

La Guida - Buone e cattive notizie dal voto e dal non voto

La buona notizia è che il nuovo Europarlamento che esce dalle urne dei 27 paesi dell’Unione esprime una maggioranza filoeuropea. La cattiva  è che a crescere più di tutte, pur restando minoritarie, sono forze euroscettiche e sovraniste, quelle che di Europa ne vorrebbero meno o non la vorrebbero proprio. Lungo questo doppio binario si svilupperanno le trattative tra gli schieramenti e gli stati per arrivare ad un nuovo governo dell’Unione. Con grandi fatiche e rischio di arroccamenti o arretramenti su temi decisivi per il futuro: transizione energetica, difesa comune e sostegno all’Ucraina, migranti, debito comune per nuovi investimenti, riforme per superare il voto all’unanimità riducendo i poteri di veto. Politiche che troveranno la loro sintesi nella figura del presidente della Commissione, ruolo per il quale il voto ha rafforzato la candidatura della uscente Ursula von der Leyen. La scelta toccherà ai capi di Stato e di Governo riuniti nel Consiglio europeo. E le sorprese non sono da escludere. Un’alleanza che si allargasse a gruppi di matrice sovranista e nazionalista, non potrebbe che azzoppare politiche comuni sulle materie sopra ricordate. Nella migliore delle ipotesi l’Unione resterebbe quella che è oggi: un grande mercato ma insignificante sul piano politico internazionale.
Nella scelta della direzione da seguire inciderà l’evoluzione interna ai due più grandi Paesi fondatori, la Germania e la Francia, dove l’onda sovranista e di destra (filonazista in Germania) si è fatta impetuosa ed ha rotto gli argini. Costringendo Macron a sciogliere il Parlamento francese e indire nuove e rischiose elezioni politiche per fine giugno, mentre Scholz e il suo governo escono fortemente indeboliti e in stato di  incertezza sul da farsi. Di certo i pessimi risultati ottenuti da entrambi infliggono un colpo durissimo alla storica e sempre indiscussa leadership dei due Paesi sul resto dell’Unione. Senza che si intravvedano all’orizzonte altre leadership credibili. I nuovi assetti si troveranno soltanto dopo le elezioni politiche francesi.
Particolarmente interessante – e per niente scontata – per noi sarà la collocazione che il partito vincitore in Italia, Fratelli d’Italia, troverà nell’Europarlamento: con l’opposizione più o meno euroscettica o con la maggioranza europeista che andrà a costituirsi? Giorgia Meloni è giunta a questo bivio: dovrà scegliere.
In Italia, le ricadute del voto europeo non lasciano margini di interpretazione. I vincitori sono due: Fdi (28,8%) e Pd (24,1%) , Meloni e Schlein. Un esito che rafforza la compagine di governo, confermando Fratelli d’Italia come dominante del centrodestra e sancisce al tempo stesso l’egemonia del Pd nell’area di centrosinistra, consacrandone Schlein come leader indiscussa. Tutto il resto, per quanto significativo, è contorno. Come il sorpasso di Forza Italia, che sfiora il 10%, sulla Lega a cui non basta l’exploit del generale Vannacci. Il crollo oltre le attese del M5Stelle e del suo leader Giuseppe Conte. Il sorprendente risultato di Verdi-Sinistra Italiana (6,7%) e la debacle dell’ex Terzo polo che dividendosi in due partiti, Stati Uniti d’Europa e Azione, che non raggiungono il quorum del 4%, oltre a non eleggere alcun parlamentare si riducono alla marginalità politica.
In Italia insomma non dobbiamo aspettarci cambiamenti dell’assetto politico e di governo. Possiamo invece aspettarci un’accelerazione delle riforme avviate dalla destra al governo sull’autonomia differenziata, sulla giustizia e sul premierato. Con la coda finale di un referendum costituzionale che dividerà comunque il Paese per confermare o rigettare tali riforme.
Non c’è storia in Piemonte, dove il governatore uscente Alberto Cirio ottiene oltre il 56% dei voti e una chiara affermazione personale. Favorito dalla frammentazione delle opposizioni e dalla loro incapacità di unire le forze su un’unica candidatura. Un limite che non ha impedito alla candidata Pd del centrosinistra, Gianna Pentenero, di ottenere un dignitoso 33,5%.
Nel contesto provinciale, due sorprese meritano di essere segnalate. La prima è la nutrita pattuglia di ben 7 cuneesi che diventano consiglieri regionali. Una “massa critica” importante, capace, se lo vorrà, di ottenere dal governo regionale quelle concrete attenzioni che non ha mai dimostrato nei cinque anni passati se non per l’area albese: dalla sanità (l’ospedale di Cuneo e la medicina territoriale), alle infrastrutture di trasporto (il raddoppio dei binari tra Fossano e Cuneo, completamente dimenticato; la Cuneo-Ventimiglia; il Tenda). La seconda è la curiosa sfasatura tra il voto europeo e regionale con il voto amministrativo nelle principali città della Granda dove si votava per il sindaco. Alla netta affermazione del centrodestra nelle prime due, si contrappone una altrettanto netta affermazione del centrosinistra in tre delle quattro città principali: Saluzzo, Bra e Alba. (Nella quarta, Fossano, il centrodestra ha vinto per una manciata di voti). La capitale delle Langhe in particolare ha eletto al primo turno un giovanissimo esponente Pd preferendolo al sindaco uscente del centrodestra espressamente indicato dall’albese presidente della Regione Alberto Cirio. Una sconfitta casalinga che macchia l’indiscusso successo regionale di Cirio.
Infine, su tutti e tre i gradi del voto, si è abbattuto il devastante ciclone dell’astensionismo, superiore al 50% alle europee, di poco inferiore alle regionali e soltanto un po’ meglio alle comunali. Sintomo grave di indifferenza e sfiducia. Ancor più allarmante perché investe le generazioni più giovani. Non è un buon presagio per il futuro della democrazia. E di questo, ben più che degli assetti di potere, dovrebbero preoccuparsi e occuparsi gli eletti, i partiti e i loro leaders.

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