I poeti sono “ladri a cui Dio ha affidato il compito di rubare il meglio della vita”. Così si esprime Jean-Marie Kerwich consapevolmente, non certo presuntuosamente, riferisce a se stesso queste parole. Si immedesima nel libro che scrive: è uomo che “diventa poesia”. Un libro errante, per cui non c’è pace. Continuamente in ricerca di spiragli di bellezza, continuamente e sfacciatamente in confronto con un mondo volgarmente votato alla banalità.
Lo ammette: non è di quei libri “che si spintonano sugli scaffali per essere visti”. Scaturisce dal cuore: “l’anima ti costringe a prendere in mano la penna”, a guardare con occhi disincantati la vita e il mondo.
È libro che vive dell’essenziale. Una prosa che saggia il terreno della poesia e si consente staffilate feroci, una poetica ferocia, sugli scrittori di vane parole, sulle pagine vergate da inutili frasi. Il suo “libro errante” è fatto di annotazioni, di pensieri a prima vista sconnessi. Presto però i tasselli trovano la loro collocazione nel tessuto della vita.
Nato in una famiglia di zingari piemontesi, cresciuto nel mondo circense, “figlio dei sentieri e delle strade”, l’autore fa dell’emarginazione la sua condizione esistenziale. Richiama Rimbaud, il “poeta maledetto”, condividendone l’animo sovversivo che rinviene anche in Jean Genet: autori la cui arte si intreccia strettamente alla vita. E in questa prospettiva non è fuori luogo ripensare al santo bevitore del romanzo di Joseph Roth.
In questa posizione si sente “rifiuto sublime dell’essere incompreso e in rivolta con l’eleganza delle parole”, perché il vero pensatore “infastidisce i fabbricanti di parole inutili”. Allora le pagine del libro errante si fanno ruvide di parole che graffiano l’ipocrisia del mondo, che “insudicia la vita con le ambizioni e i poteri forti”, le false libertà dei “velieri del mare” o, ancora, i supermercati, “nuovi musei” per un mondo sempre più obeso e vuoto di pensiero.
L’autore si sente in sintonia con i rifiutati: “l’erbetta che spunta dal cemento”, il barbone che si fa scaldare una lattina di fagioli, lo sfortunato nascosto sotto una coperta accanto a una valigia “dove ha piegato in quattro la sua vita”. Con ardito paragone accosta la foto di Bernadette Soubirous alla zingara che ha conosciuto. Non chiamiamoli senza fissa dimora, protesta l’autore, “perché il loro domicilio esiste: è nello sguardo di Gesù”.
Così il “libro errante” si spinge fino ai confini della fede, senza mai oltrepassarli con convinzione. Interroga un Dio “che cammina accanto alla mia ombra”, da cui non attende risposte, ma sente vicino nella figura del Crocifisso o di Gesù “bambino picchiato come lo ero io”.
Il libro errante
di Jean-Marie Kerwick
Editrice Sanpino
euro 13,5