È questione aperta il rapporto tra scienza e potere, tra le scoperte e l’uso che di esse viene fatto dai politici. Non è certo agevole cogliere la positività delle ricerche a fronte di un mondo che non si fa scrupolo a piegarle a scopi di supremazia politica o economica.
Il compito che si assume l’autore è proprio quello di scandagliare questa intricata terra di confine tra il sapere, per sua natura sovranazionale, e il rapporto tra gli stati, minato invece da crescente nazionalismo. Lo fa mettendo ben in chiaro che la questione etica è a fondamento di ogni riflessione intorno al tema.
Non che le cose possano liquidarsi facilmente. Anzi l’analisi appare alquanto realistica, senza proclami, ma anche con un richiamo alle responsabilità di scienziati e politici a fronte di una diffusa tendenza a piegare i primi alle mire dei secondi in nome dell’interesse nazionale e, per converso, alla tentazione del denaro o del riconoscimento che alberga in fondo a molte menti. “Esistono dei meccanismi che riducono la neutralità scientifica”, deve ammettere infatti non senza un accento di amarezza.
Quella “repubblica del sapere” intesa come comunità di studiosi, sempre affermata dagli scienziati, si smorza in una “entità metafisica e culturale” che, se non perde la necessaria, ma ideale dimensione sovranazionale, deve comunque fare i conti con l’interesse dei singoli stati finanziatori delle ricerche.
Il carattere internazionale del sapere è qui ribadito come valore inoppugnabile. Gli studiosi sono “soggetti internazionali” che fin dall’alba dell’età moderna avevano il privilegio riconosciuto di muoversi da una sede universitaria all’altra. Quanto meno la stessa circolazione delle idee ha dimostrato nel tempo questo respiro ampio ben oltre i confini politici. Era l’idea di sapere collettivo capace di portare benefici a tutti. Il concetto stesso di “fuga dei cervelli” in senso stretto è, secondo l’autore, fuorviante nella misura in cui la formazione necessita di scambi, di esperienze.
Nel momento in cui il sapere diventa motivo di prestigio nazionale, oltre che occasione di potere, le cose sono cambiate. Imperialismo, capitalismo e scienza sono trinomio inscindibile che richiama prepotentemente il risvolto economico. Lo scienziato è diventato una “risorsa” e quindi una scommessa. Investire nella ricerca ha costi che nella logica capitalistica devono rientrare in termini di potere economico o politico.
Un quadro sconfortante di fronte a cui però l’autore ravvisa alcune possibilità di rinnovamento. Su questo terreno si innestano gli accordi internazionali intorno ai problemi planetari da quelli climatici a quelli sanitari fino all’ambito delle manipolazioni genetiche. Se il dialogo a livello di scienza non è venuto meno, fatica invece a intavolarsi con una certa risolutezza quello politico. In un mondo in cui il presente predomina sulla sguardo al futuro, ancora una volta l’appello etico alla responsabilità sembra essere una buona strada forse più ancora delle riflessioni su possibili catastrofi future.
Roberto Dutto
Ragione di Stato, ragione di scienza
di Giacomo Destro
Editrice Codice
euro 18