Si è concluso con un’assoluzione il processo per ricettazione e porto illegale di armi in cui erano imputati A. M. ed E. Y., due cugini albanesi che il 20 agosto 2020 furono trovati in possesso di un pacchetto contenente tre pistole e munizioni. I due cugini erano stati fermati mentre a bordo della Fiat Panda di uno dei due si allontanavano dalla villa dove avevano lavorato come giardinieri per circa due settimane: “Mentre pulivamo un canneto ho trovato questo pacchetto e l’ho posato su un tavolo insieme agli altri attrezzi perché avevo ricevuto una telefonata. Più tardi quando stavamo andando via, senza pensare lo avevo messo nello zaino insieme alle altre cose. Non ero consapevole di cosa ci fosse dentro, l’involucro era piccolo e chiuso con più giri di nastro adesivo”, aveva riferito in aula E. Y., proprietario dello zaino all’interno del quale i Carabinieri avevano trovato il pacchetto. Il controllo da parte dei militari era stato casuale; poco dopo essersi allontanati dalla villa, al termine del lavoro, i due erano stati fermati sulla provinciale fra Centallo e Roata Chiusani; i militari notarono il pacchetto che sbucava dallo zaino e dalla parziale apertura notarono che spuntava qualcosa di metallico che sembrava una pistola. I successivi controlli confermarono la presenza di tre pistole con relative munizioni e per i due cugini scattò la denuncia per ricettazione e porto illegale di armi. In merito alla prima accusa l’istruttoria evidenziò che in realtà le armi erano state regolarmente denunciate ed erano appartenute a uno degli antichi proprietari della villa, che poi nel corso del tempo gli eredi affittarono a una società che la usava per realizzarci eventi. Delle armi si erano perse le tracce fino a quando riemersero dal cannetto avvolte nel pacchetto di cellophane chiuso con nastro adesivo. Per il pubblico ministero Pier Attilio Stea, che ha fatto cadere l’accusa di ricettazione, i due imputati erano comunque colpevoli di porto illegale di armi, poiché nel momento in cui avevano raccolto quel pacchetto e lo avevano infilato nello zaino erano consapevoli del contenuto e avevano consapevolmente scelto di tenerlo mentre avrebbero dovuto immediatamente chiamare le forze dell’ordine; per questo ha chiesto la loro condanna a nove mesi di reclusione. Di diverso avviso l’avvocato Foti che ha contestato la conoscenza dei suoi assistiti del contenuto dell’involucro: “Se nel loro verbale i militari hanno scritto che dal pacchetto si intravedeva qualcosa di metallico riconducibile probabilmente a un’arma, e i militari sono esperti di armi, vuol dire che i due ragazzi, incensurati, non potevano sapere che cosa ci fosse nel pacchetto. Non lo consegnarono alla segretaria che li aveva pagati quel giorno, perché conoscevano personalmente il titolare della società che gestiva la villa, erano amici e lo avrebbero poi consegnato a lui”. La giudice ha accolto la richiesta di assoluzione dall’accusa di ricettazione per insussistenza del fatto, così come ha accolto la richiesta di assoluzione dall’accusa di porto illegale di armi.