Poche ore prima della mobilitazione dei trattori di inizio febbraio a Bruxelles, il pressing degli agricoltori aveva fatto cedere la presidente della Commissione europea Von der Leyen con l’annuncio di deroghe alle norme Ue sull’obbligo di mantenere i terreni incolti.
Un primo risultato, ma non basta; da molto tempo Coldiretti chiede di cancellare definitivamente l’obbligo di lasciare incolto il 4% dei terreni destinati a seminativi imposto dalla Politica agricola comune 2023-2027 in nome della tutela ambientale. Secondo la Coldiretti, infatti, non ha senso impedire ai nostri agricoltori di coltivare quote dei loro terreni quando poi siamo costretti ad importare derrate alimentari da Paesi dove si coltiva senza alcuna regola a tutela dell’ambiente, né tantomeno della salubrità per il consumatore. La sostenibilità ambientale deve essere sostenibile anche economicamente, altrimenti genera soltanto delocalizzazione e concorrenza sleale dall’estero.
Il caso dei terreni incolti è solo uno dei cortocircuiti delle politiche ambientali integraliste volute dalla Commissione europea, iniziate per intervento dell’ex commissario Timmermans: regole ideologiche che penalizzano la capacità produttiva europea, e di conseguenza un’alimentazione sana come ha dimostrato di essere la nostra Dieta mediterranea, e appesantiscono il lavoro degli agricoltori, ingiustamente visti come inquinatori, mentre sono proprio loro a garantire la tutela dell’ambiente.
Un altro esempio arriva dalla Direttiva emissioni che equipara gli allevamenti, anche di piccole/medie dimensioni, alle fabbriche: sebbene siano state escluse dai nuovi oneri le stalle bovine come richiesto dalla Coldiretti, restano forti preoccupazioni per le aziende suinicole e avicole, soggette a procedure di autorizzazione insostenibili.
Serve un approccio realistico per sostenere l’impegno dell’agricoltura verso la sostenibilità che ha già portato quella italiana a classificarsi come la più “verde” d’Europa.
L’Europa deve investire nella propria autosufficienza alimentare, respingendo modelli omologanti come quelli del cibo artificiale e riconoscendo il ruolo di presidio del territorio che le imprese agricole svolgono ogni giorno.
Per questo Coldiretti non accetterà tagli ai fondi della Pac dopo che la pandemia e le guerre hanno dimostrato tutta la fragilità dell’Unione europea davanti al blocco del commercio mondiale, ma anche la difficoltà del sistema produttivo sconvolto dalla violenza dei cambiamenti climatici, per proteggersi dai quali servono risorse adeguate per la difesa attiva e passiva.
Occorre aumentare gli investimenti in agricoltura e garantire più sostegni ai giovani per il ricambio generazionale nel nostro settore. Senza ragazze e ragazzi in agricoltura, l’Europa sarà più fragile e dipendente dalle importazioni.
Proprio in riferimento agli scambi e agli accordi commerciali, è indispensabile garantire il principio di reciprocità per fare in modo che tutti i prodotti che entrano nell’Unione rispettino gli stessi standard dal punto di vista ambientale, sanitario e del rispetto delle norme sul lavoro previsti nel mercato interno.
L’Europa deve sostenere anche gli accordi di filiera per costruire mercati equi con una più giusta distribuzione del valore a tutela dei produttori agricoli e maggiore trasparenza a vantaggio dei consumatori. La Pac dovrà incentivare questo modello che rafforza i rapporti tra produzione, trasformazione e commercializzazione, anche per contrastare le pratiche sleali.