Domenica 21 aprile se n’è andato improvvisamente Rodolfo Rosso, monregalese di 68 anni, un campione di “balon” che per tanti e tanti anni ha strappato applausi negli sferisteri di Piemonte e Liguria. Il suo anno “magico” nel 1983 quando vinse lo Scudetto di Serie A con la maglia della Spec di Cengio. Nella stagione 1995 ha poi giocato a Caraglio, come spalla di Riccardo Molinari. Così lo ricordava allora l’amico, Romano Borgetto.
DODO…PIAN
Il pallone disegna una parabola alta nel cielo e vola in picchiata verso l’atleta forte e possente che laggiù, sul fondo del rettangolo di gioco, aspetta roteando il braccio dietro le spalle. Un attimo ancora, un ultimo lampo negli occhi, un accenno di corsa, una torsione del busto e poi tutta la dinamite racchiusa nel pugno di Rodolfo Rosso esploderà nel ricaccio.
E nel silenzio che di colpo scende sulle tribune, una voce che lo implora:”Dodo..pian”.
È Giorgio Alossa, terzino da lunga data e di vasta esperienza che suggerisce al suo capitano di smorzare il colpo, di non voler strafare, di accontentarsi di non sbagliare.
E non sa, o non vuol sapere, che Dodo Rosso, 38 anni, da 18 in Serie A, non può colpire piano, perché sarebbe contro la sua natura, contro quella meravigliosa fabbrica di muscoli che hanno forza da vendere e che non possono essere umiliati a mezzo servizio.
Alossa è un bravo ragazzo, in buona fede e con lodevoli intenzioni, ma per favore, ci lasci il Dodo Rosso che picchia forte, che strappa gemiti di dolore ai palloni deformati dalla violenza del colpo, che non gioca col bilancino o la calcolatrice del ragioniere, ma si abbandona libero al suo estro ed al suo istinto per infilare quelle bordate micidiali che fanno alzare in piedi gli sferisteri.
Per carità, Dodo… non ascoltarlo!