Enrico Nada, 40 anni, vitivinicoltore di Treiso, è presidente di Coldiretti Cuneo dal maggio di due anni. Guida quella che è la maggiore organizzazione di imprese agricole con oltre 30.000 associati nella Granda, pari all’85% delle aziende cuneesi operanti in agricoltura.
Laureato in viticoltura ed enologia, Nada dirige l’azienda vitivinicola di famiglia “Nada Giuseppe” sulle colline di Treiso. Produce con metodo biologico due menzioni storiche del pregiato Barbaresco Docg, vino simbolo della zona, oltre a Barbera d’Alba Doc e Langhe Doc Nebbiolo. Dal 2015 al 2018 è stato membro dell’Assemblea dell’Enoteca regionale del Barbaresco, dal giugno 2017 al settembre 2020 è nel CdA dell’Albeisa, associazione a tutela della bottiglia omonima e poi nel direttivo dell’Associazione dei produttori biologici Terramica.
Il mondo dell’agricoltura è stato l’assoluto protagonista degli ultimi mesi, anche della cronaca oltreché della politica, come l’avete vissuta?
Che in agricoltura non vada tutto bene e ci sia un malessere diffuso, lo diciamo da anni. È comprensibile che gli agricoltori, se continuano a non veder retribuito in maniera corretta il loro prodotto, poi arrivino a manifestare. Noi abbiamo vissuto gli ultimi mesi continuando a lavorare, incontrando migliaia di soci in tutta la provincia, portando avanti le battaglie per l’agricoltura sui tavoli istituzionali, dalla Regione al Governo fino a Bruxelles, ed è là che siamo scesi in piazza, nella convinzione che arrivi dalle Istituzioni UE la soluzione ai principali problemi che le nostre aziende vivono.
Quello che è emerso è che il mondo agricolo sta vivendo un grande momento di confusione con una base non più “granitica” come un tempo. Queste proteste così plateali vi stanno mettendo in crisi come Coldiretti ma in generale come associazioni di categoria storiche?
Se c’è un rischio di delegittimare le associazioni di categoria a cominciare dalla nostra, la più grande per rappresentanza, va detto che quel rischio non viene dagli agricoltori scesi legittimamente in piazza, ma da una certa parte politica che ha soffiato sul fuoco delle proteste e strumentalizzato i manifestanti in chiave elettorale. Un’operazione politica che nulla ha a che vedere con le motivazioni che hanno portato i trattori in strada, un tentativo di disintermediazione che non consentiremo perché a perderci non sarebbe la Coldiretti ma tutta l’agricoltura. Se ognuno va per sé, in una situazione di totale confusione e frammentazione, nessuno avrà la forza e la credibilità per confrontarsi con la politica, e allora chi potrà mai battere i pugni sui tavoli che contano per correggere una legge sbagliata?
Che cosa c’è di condiviso con queste proteste che hanno portato a gesti plateali, cortei, strade bloccate, letame rovesciato, fino ai disordini visti in altre parti d’Europa?
Condividiamo le ragioni delle istanze e delle proteste, a meno che non sfocino in episodi violenti – cosa che nella nostra provincia, dove le manifestazioni sono state assolutamente pacifiche, non è avvenuta – perché sono in molti casi rivendicazioni nostre. Sui cartelli che abbiamo visto esposti sui trattori che hanno sfilato nella Granda abbiamo riconosciuto tanti slogan figli delle nostre battaglie storiche: la difesa e la valorizzazione del Made in Italy, l’etichettatura d’origine obbligatoria, il riconoscimento del valore dell’agricoltore, senza il quale non può esserci cibo, dunque vita, futuro. Abbiamo persino letto “no cibo sintetico”: più che condivisibile, ma chi lo chiede dev’essersi dimenticato che si tratta di una questione già risolta con l’entrata in vigore di una legge che vieta carne e altri prodotti artificiali, chiesta e ottenuta proprio dalla nostra Coldiretti che ha raccolto oltre 2 milioni di firme in tutta Italia.
Che cosa invece non avete assolutamente condiviso?
Più che altro non appoggiamo il metodo. Proteste eclatanti, durature e non ben circostanziate potrebbero alimentare il fronte di chi, per ragioni diverse, punta il dito contro la nostra agricoltura. Preferiamo portare avanti battaglie puntuali con proposte vere e concrete, anche se ovviamente, negli anni, pur avendo ottenuto importantissime vittorie, non siamo riusciti sempre a spuntare il risultato ottimale su ogni fronte. Ma non ci arrendiamo e andiamo avanti.
Oggi quali sono le grandi sfide per l’agricoltura e per l’agricoltura cuneese?
La principale è continuare sulla strada della sostenibilità per un’agricoltura sempre più green, pur partendo dal presupposto che la nostra è già l’agricoltura più sostenibile d’Europa. Bisogna investire in tecnologia ma anche in infrastrutture per far fronte alle conseguenze sempre più tangibili del cambiamento climatico. E poi c’è la sfida di spuntare prezzi migliori in ogni comparto agricolo; continueremo a denunciare situazioni di pratiche sleali, come quelle perpetrate a danno degli allevatori dalla multinazionale Lactalis che è stata sanzionata dopo la nostra denuncia, e continueremo a promuovere accordi di filiera con le agroindustrie virtuose del territorio per disinnescare dal campo alla tavola qualsiasi speculazione a danno di chi produce, costretto a subire quotazioni sotto i costi di produzione, e di chi consuma, che paga sempre di più per mangiare di meno.
Il problema acqua è uno dei problemi chiave, la siccità di questi anni lo ha evidenziato, e questo inverno a parte questa coda di marzo è stato secco più che mai, ma è possibile che non si faccia davvero nulla? Con la forza “politica” del mondo agricolo, si continua solo e sempre a parlare di invasi che non si fanno?
Questa domanda parte da un presupposto errato, ossia che la carenza idrica e la mancanza di invasi siano un problema del mondo agricolo. No, è un problema globale. Primo, perché se gli agricoltori non riescono a produrre, mancherà il cibo a danno di tutti; secondo, perché arriverà il giorno in cui l’acqua mancherà non solo alle nostre aziende ma all’intera popolazione per gli usi civili. Per cui è riduttivo limitare la questione al mondo agricolo, che peraltro ci vede in prima linea da molti anni nel chiedere alla politica di passare una volta per tutte dalle parole ai fatti. Purtroppo basta una settimana di pioggia a far dimenticare lunghi mesi di siccità e a far scorrere in basso nella lista delle priorità il tema invasi, mentre dovrebbe essere fissato in cima alle agende politiche.
Per anni da una parte ci sono stati gli ambientalisti con il cambiamento climatico e dall’altra l’agricoltura e l’allevamento che si guardavano in cagnesco oggi mi sembra che le posizioni si sono avvicinate e si è capito di essere tutti sulla stessa barca. Sbaglio?
Se c’è un settore che ha a cuore l’ambiente, quello è l’agricoltura, che può produrre meglio e di più in un ambiente salubre. Negli ultimi anni abbiamo portato avanti assieme agli ambientalisti battaglie condivise, dallo stop agli OGM all’azzeramento del consumo di suolo. E chi ancora punta il dito contro gli “effetti deleteri” dell’agricoltura sull’ecosistema, dimentica all’opposto quanto sia vitale l’opera quotidiana di chi fa attività agricola e di allevamento per la cura del suolo, la conservazione delle risorse naturali, la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico.
Alla luce di tutte queste questioni qual è lo stato di salute dell’agricoltura cuneese oggi?
Ci sono settori che soffrono, in particolare l’allevamento di bovini di razza Piemontese e il comparto frutta, che non vedono un’adeguata remunerazione al proprio prodotto, ma in generale la nostra resta un’agricoltura sana, all’avanguardia, che continua a investire e progredire e che rimane un punto di riferimento per l’economia provinciale. Non dimentichiamo che l’agricoltura resta il primo settore produttivo con quasi 3 aziende cuneesi su 10 vocate all’attività agricola.
Lei ha citato prima il cibo sintetico e la raccolta firme, state facendo una battaglia forte contro la carne sintetica, la farina di grillo e i cibi alternativi, ma in un modo così composito, globale e dove tutti devono poter mangiare, non c’è spazio per tutti?
Non è questione di spazio, è questione di sicurezza alimentare. Noi ci battiamo per tutelare il diritto alla salute in mancanza di evidenze scientifiche che comprovino l’assoluta salubrità di prodotti come quelli artificiali. E poi non si creda alla favola che il cibo sintetico nasca per sfamare il mondo. A investire in quei prodotti sono degli imprenditori milionari, non dei benefattori, ed è molto probabile che nei Paesi più poveri al mondo non si mangerà mai carne fatta in laboratorio, le cui tecniche di produzione sono costosissime.
Lei che è proprio del settore che cosa hanno ancora di agricolo le grandi aziende vitivinicole e un territorio collinare che è diventato più una vetrina turistica e commerciale che altro?
Ribalto la domanda: se non ci fosse stata la coltivazione della vite quel territorio collinare sarebbe così bello e attrattivo com’è oggi? Ovviamente no. Le aziende vitivinicole hanno il grande merito di aver reso iconico un intero territorio. Dedicandosi anima e corpo al lavoro in vigna intere famiglie hanno modellato il paesaggio e si sono presi cura di terre povere e in via di abbandono, diventate patrimonio Unesco. E oggi continuano su questa strada abbracciando le opportunità che l’agricoltura offre in termini di multifunzionalità ed enoturismo per far conoscere non solo il prodotto ma anche la storia, la cultura e la tradizione locale. Una chiara testimonianza che l’agricoltura rimane fondamentale nella valorizzazione dei territori.