Una vasta operazione dei Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Cuneo, di cui è comandante il maresciallo capo Dario Scarcia, con i comandi provinciali dell’Arma di Cuneo e di Bolzano, ha permesso di individuare i responsabili di un “giro” di caporalato e sfruttamento di lavoratori irregolari, in particolare nelle Langhe. Nella giornata di ieri (lunedì 25 marzo) i militari hanno eseguito un’ordinanza di misura cautelare interdittiva del divieto temporaneo di esercitare l’attività professionale o imprenditoriale, insieme con il sequestro preventivo di undici veicoli, emessa dal Gip del Tribunale di Asti su richiesta della Procura della Repubblica. La misura riguarda nove persone (si tratta di quattro macedoni, quattro albanesi e un tunisino), considerate responsabili di caporalato e accusate di aver occupato alle proprie dipendenze lavoratori non in regola con il soggiorno in Italia.
L’attività investigativa era partita nell’aprile 2023, sulla base di ispezioni condotte da Carabinieri e Ispettorato (con il supporto di mediatori culturali dell’Oim – Organizzazione internazionale per le migrazioni) per il contrasto al caporalato e al lavoro irregolare in agricoltura: era emerso “un quadro diffuso di sfruttamento lavorativo in tutta la zona di Alba e territori limitrofi a forte vocazione vitivinicola, in danno di cittadini extracomunitari in stato di bisogno reclutati sulle piazze e prelevati con pulmini o autovetture da parte di datori di lavoro contoterzisti”. È stata poi ricostruita la rete di sfruttamento, con tanto di luoghi di “raccolta” dei lavoratori, prelevati e “trasportati a cura dei caporali, titolari di aziende agricole di lavoro conto terzi, per l’impiego in condizioni di sfruttamento in aziende agricole operanti nei vigneti delle province di Cuneo, Asti e Alessandria”. La paga oraria era nettamente al di sotto di quanto previsto dai contratti del settore (sei euro l’ora) e veniva fatto pagare il costo del trasporto; orari, permessi, ferie e riposi non rispettavano certo le normali condizioni di lavoro, come neppure le questioni di salute e sicurezza; sono emerse anche situazioni di “condizioni e metodi di lavoro degradanti (sorveglianza a vista e minaccia di non retribuzione in caso di minimo errore)”, secondo quanto riferito dall’Arma.
Quaranta i lavoratori identificati come vittime di sfruttamento: un terzo di loro erano persone originarie del Gambia, gli altri da Senegal, Ghana, Macedonia, Tunisia, Pakistan, Nigeria, Guinea, Egitto, Albania, Marocco, Gabon e Bangladesh. Per trenta di loro è stato ottenuto il nulla osta al rilascio del permesso di soggiorno per grave sfruttamento lavorativo; alcuni vivevano accampati lungo le rive del fiume Tanaro.