La trasformazione accelerata che caratterizza la società in tutti i settori, investe in pieno anche la Chiesa. Interroga sul come trasmettere e testimoniare la fede, adeguare le strutture ecclesiali perché rispondano pienamente alla loro funzione evangelica. Il tutto facendo i conti con una realtà che registra divisioni sociali crescenti, distacco dalla pratica religiosa, diminuzione dei preti. È in questa ottica che, dopo la creazione dell’unica diocesi, la Chiesa di Cuneo-Fossano ha dato il via ad un confronto aperto con le sue varie componenti per interrogarsi sul futuro delle parrocchie (e non solo). Un cammino che si annuncia delicato e impegnativo, da affrontare con coraggio e lungimiranza.
Di seguito pubblichiamo l’intervista al vicario Pastorale don Flavio Luciano che spiega qual è il cammino intrapreso dalla Diocesi di Cuneo-Fossano.
L’intervista è pubblicata integralmente su La Guida e su La Fedeltà in edicola.
Una riforma delle strutture della Chiesa di Cuneo-Fossano, in particolare le parrocchie, è iniziata con l’incontro da parte del vescovo Piero Delbosco insieme ai vicari don Sebastiano Carlo Vallati e don Flavio Luciano delle 10 zone pastorali, il Consiglio presbiterale, gli uffici della Curia e il Consiglio pastorale diocesano. Proprio giovedì 14 marzo al Consiglio Pastorale diocesano è stata illustrata la proposta per immaginare una “Parrocchia di Comunità diverse”. Ne abbiamo parlato con don Flavio Luciano, Vicario per la Pastorale.
Tra gennaio e febbraio avete incontrato i rappresentanti delle varie comunità nelle dieci zone pastorali della diocesi, per illustrare la bozza del progetto e per ascoltare: che clima avete respirato? Ha prevalso un atteggiamento propositivo, ci sono state critiche?
Nel tentativo di rispondere alle indicazioni precise del Sinodo diocesano del 2021-2022, si è fatto un progetto la cui bozza è stata anzitutto discussa con il Consiglio presbiterale e poi con il Consiglio pastorale. Dopodiché abbiamo visitato tutte le dieci zone di pastorale della diocesi di Cuneo-Fossano. Ci sono stati anche momenti di riflessione e condivisione con i responsabili degli uffici della Curia, con la Consulta delle aggregazioni laicali. In generale abbiamo sperimentato un clima di accoglienza e di buona disposizione. La consapevolezza è che la realtà sociale ed ecclesiale in cui viviamo sia cambiata e si pone la necessità di ripensare strutture e stili per vivere e testimoniare la nostra fede. Negli incontri ci sono state proposte valide che sono state accolte e chiaramente non sono mancate le critiche, provocate dalla paura dei cambiamenti, dalla fatica di percepire un progetto che è in farsi, dal timore che non si valorizzino i cammini comunitari, le tradizioni popolari, ancora forti nelle nostre realtà. Si è espresso il timore di perdere le caratteristiche della propria parrocchia, anche se piccola, per un accentramento della vita pastorale e di fede in una sola parrocchia maggiore. Altre domande di chiarimento riguardo le soluzioni proposte per sollevare i sacerdoti dalle incombenze amministrative, soprattutto in riferimento alle strutture, come Scuole materne o Case di riposo parrocchiali, frutto di sogni, di sacrifici e di investimenti delle famiglie della comunità.
Come avete cercato di lavorare e come si proseguirà per impedire che questa riorganizzazione pastorale venga percepita come un progetto calato dall’alto?
Abbiamo ascoltato e dialogato con sincerità. Dalla prima bozza di proposta i cambiamenti sono stati tanti. La critica di alcuni che tutto è stato deciso a monte non è onesta e non tiene conto del cammino che stiamo facendo da tempo. Ritorneremo con una proposta più definita in alcune zone di pastorale dove c’è stato meno consenso per rivedere come risolvere i nodi più problematici. Desideriamo fortemente che il cambiamento sia risultato di una condivisione e di un consenso il più ampio possibile. Le critiche sono state utili per individuare quelle che possono essere soluzioni diverse più attinenti ai vari territori e alle diverse situazioni. Per esempio, si era pensato di gestire con delle fondazioni zonali le strutture che non riguardano esclusivamente la pastorale parrocchiale (come le scuole materne e le Case di riposo, oppure le cappelle e le chiese da tempo non più sedi parrocchiali), e il dialogo con chi ha competenza sul territorio ci ha portati a riconsiderare la proposta e a pensare altre forme, cercando di valorizzare ciò che sul territorio c’è già.
Qual è il sogno o l’immagine di Chiesa che fa da sfondo e ispira il progetto?
Una Chiesa che mette al centro la Vita. Prima di tutto quella di Gesù, la sua Parola da testimoniare e da annunciare e la sua pratica come faro per il cammino personale e comunitario. Poi quella del mondo, delle persone tutte, di ogni essere vivente e della madre Terra (Laudato si’). Una chiesa che accoglie la sfida della Fraternità (Fratelli Tutti) da vivere e da contribuire a costruire in un mondo in difficoltà. Non deve mancare la chiarezza che la missione laicale non si esaurisce nella gestione delle strutture ecclesiali. Sappiamo che la sfida della fede, oggi più che mai, è quella della testimonianza dove la gente abita e vive. A questa testimonianza la comunità cristiana, la parrocchia è a servizio, a partire dai fondamenti dell’Eucaristia, della Parola e della carità e dal lavoro che ancora lo Spirito compie nel cuore degli uomini e delle donne di oggi.
Nella proposta si usano i termini comunità e parrocchia in modo non sovrapponibile: proviamo a specificare meglio cosa si intende e che rapporto hanno.
Ci è richiesto coraggio e creatività, cercando di educare ad una mentalità dove si è attenti ad una realtà che è un po’ più grande dei confini del proprio territorio parrocchiale. E a questa educazione, negli anni, le zone pastorali hanno sicuramente offerto un contributo. I numeri parlano da soli e se fra 10 anni i presbiteri con meno di 75 anni nella diocesi di Cuneo-Fossano saranno solo 40 (mentre oggi sono 62), è tempo opportuno per far nostra quella visione di Chiesa di comunione e di partecipazione, radicata nel battesimo che ci fa tutti pari in dignità e responsabilità. Le nuove parrocchie non potranno più essere solo incentrate sui presbiteri, ma con una corresponsabilità concreta di uomini e donne, laici preparati.
Se al momento ci sono 115 parrocchie, ognuna con un proprio statuto giuridico, l’idea è di alleggerire la parte giuridica trasformandole in 115 comunità, radunandole poi in nuove parrocchie. Non si vuole chiudere nessuna chiesa. Lavoriamo perché siano comunità vive, evangeliche. Per esempio, le tre parrocchie dell’Oltre Gesso di Borgo San Giuseppe, Spinetta e Roata Canale che hanno già un solo parroco con un presbitero collaboratore potrebbero diventare una parrocchia sola. Così le cinque parrocchie intorno a Villafalletto potrebbero diventare una sola con cinque comunità: Santi Pietro e Paolo in Villafalletto, Santi Lorenzo e Sebastiano in Monsola, Sacra Famiglia in Vottignasco, San Pietro in vincolo in Gerbola e Sant’Anna.
Ogni parrocchia sarà servita da un presbitero parroco che, con la collaborazione di un altro presbitero o un diacono, insieme ad alcuni laici preparati, cercheranno di servire le varie comunità sugli assi principali. Le attività presenti nelle varie comunità saranno portate avanti secondo le possibilità di queste, attraverso una programmazione comune. In uno spirito di comunione e di aiuto reciproco.
E nelle due città?
Certamente le due città pongono altre problematiche perché più grandi, ma è comprensibile a tutti che la direzione è verso una maggiore unità. Verso dove camminare nella città di Cuneo? In tal senso, i parroci della città, immaginando il futuro delle comunità cristiane su tale territorio, hanno fatto alcune proposte. Cuore Immacolato di Maria e Sacro Cuore avranno un solo parroco? Oppure la comunità Sacro Cuore camminerà con le comunità del Centro Storico? È possibile pensare a un cammino verso una parrocchia nuova con due comunità, San Rocco Castagnaretta e San Paolo? Una domanda che ci si è posti è quella sul ruolo della Cattedrale e della Concattedrale. A Fossano è realistico pensare e camminare verso un futuro prossimo con due parrocchie nuove con più comunità, una nella parte alta e l’altra nella parte bassa? Con due parroci che con una equipe di preti collaboratori, diaconi, religiosi e laici servono le loro comunità, nel rispetto di storie importanti? Non è facile arrivare a delle decisioni, ma non possiamo esimerci dal prenderle. Abbiamo bisogno ancora di riflessione con chi sta lavorando sulle città: preti, diaconi, laici, religiosi e religiose.
Sacerdoti e laici sono chiamati a lavorare insieme nella logica della corresponsabilità, che scaturisce dall’unica vocazione battesimale: come si realizzerà in concreto? Sono previste nuove figure chiamate a coordinare e animare le comunità?
Certamente il ruolo e la vita del prete sono da ripensare. Coordinare più comunità non si può che fare insieme, ministri ordinati e laici, secondo le responsabilità di ciascuno. Questo vuol dire accogliere lo spirito del Vangelo e le indicazioni della Chiesa di oggi. Tra l’altro, anche altre diocesi stanno facendo il nostro stesso nostro cammino. Penso ad una unità pastorale della nostra diocesi dove in dodici anni è passata ad avere da sei parroci ad un parroco solo. I laici non sono solo collaboratori, ma chiamati ad assumere anche servizi concreti nell’ambito dell’amministrazione, della liturgia, della carità e dell’evangelizzazione, compiti che comunque negli ultimi anni sono già stati assunti dal laicato: penso alle catechiste, ai ministri dell’eucarestia come ai lettori, ai consigli degli affari economici parrocchiali che già aiutano i presbiteri nelle varie comunità.
In ogni parrocchia ci sarà un consiglio parrocchiale eletto dai fedeli, dove ogni comunità della nuova parrocchia sarà rappresentata. Nelle comunità più grandi potrà essere utile un piccolo consiglio di comunità per favorire una partecipazione più ampia. C’è stata la richiesta che ogni comunità abbia due coordinatori, in qualità di guida della comunità che, nel consiglio pastorale parrocchiale, insieme ai preti e i diaconi, cercheranno di portare avanti le iniziative. Ci sono già esperienze positive in alcune parrocchie con un’assemblea parrocchiale annuale in cui tutti sono invitati e possono esprimersi sulle questioni più rilevanti della vita della comunità. Creare cammini di formazione per chi avrà compiti di servizio e responsabilità è priorità per noi.
Cosa cambia rispetto all’attuale struttura parrocchiale? Quali i principali aspetti organizzativi concreti su cui si dovrà lavorare, anche per liberare i parroci dal carico della gestione amministrativa?
La riduzione del numero delle parrocchie affidate al parroco, dal punto di vista amministrativo, già porterà a liberare del tempo prezioso. Con delle conseguenze positive anche per la sua salute. Insieme ad un coinvolgimento maggiore di laici competenti in servizi richiesti, in un cammino di fiducia e corresponsabilità, il presbitero parroco pensiamo potrà avere più tempo per presiedere la comunione tra le comunità, celebrare bene con esse, ascoltare le persone, formarsi e formare chi regge con lui le comunità, organizzare la pastorale e accompagnare il tutto insieme ai laici corresponsabili. Riorganizzando così le nostre nuove parrocchie, nonostante il numero limitato di presbiteri, sarà possibile anche liberarne alcuni per accompagnare ambiti importanti: la pastorale giovanile con la scuola e l’università; la pastorale sociale con la Caritas, la Migrantes e l’ufficio lavoro; la pastorale sanitaria con le cappellanie negli ospedali. A queste si aggiunge la possibilità di un’attenzione maggiore per le zone che in estate si riempiono di turisti. Infine, anche un’attenzione all’ecumenismo, al dialogo interreligioso e culturale.
Tra gli elementi qualificanti e fondanti la vita credente vi sono le celebrazioni dei sacramenti, in particolare l’eucaristia. Che cosa suggerite?
La vita di una comunità ecclesiale ha il suo momento fondativo e centrale nella celebrazione eucaristica. Il parroco con i presbiteri cercherà di servire le comunità della propria parrocchia il meglio possibile, anche in quelle piccole, garantendo la partecipazione a chi lo desidera.
Alcune unità pastorali (più parrocchie con un parroco solo) già ora si sono organizzate riducendo il numero delle messe, sia festive che feriali, e riordinando gli orari di queste, attraverso un dialogo condiviso tra le comunità. Dove non è possibile celebrare la messa, dobbiamo imparare a valorizzare, come già succede in tante diocesi italiane, la Celebrazione della Parola di Dio, che potrà essere animata in particolare da diaconi, ma anche da religiosi e religiose e laici preparati per questo servizio.
Un progetto del genere richiede gioco forza tempi lunghi: qual è l’orizzonte temporale? Sarà possibile camminare a velocità diverse?
Certamente sì. Dobbiamo camminare con gradualità e verificando i passi che si fanno, ma è importante non perdere tempo. Pensiamo un lasso temporale di tre – cinque anni. Ci sono delle unità e zone pastorali che già si trovano più preparate, pronte e possono essere di aiuto come sperimentazione. Per le altre realtà, avendo definito l’obiettivo, si camminerà preparando le comunità. Gli eventuali prossimi cambi di presbiteri nelle comunità dovranno tenere conto anche di questo orizzonte. Cammin facendo si capirà la bontà o no del progetto, con la libertà di rivedere e di migliorare. Insieme.