Si è concluso con due condanne e un’assoluzione il processo per la morte di Bashim Toska, il 59enne operaio edile che il 26 febbraio del 2020 venne travolto da un càssero di circa mille chili mentre lavorava all’interno del cantiere edile dove erano in costruzione delle villette.
Per quella morte erano state rinviate a giudizio sette persone: il titolare della ditta per cui lavorava la vittima, che aveva scelto il rito abbreviato ed era stato condannato a due anni di reclusione. Con lui avevano scelto il rito abbreviato anche il socio amministratore e l’operaio della ditta Edil 2014 che stava realizzando il càssero e che vennero condannati rispettivamente a due anni e quattro mesi e un anno e quattro mesi. Una settima persona era invece stata prosciolta in udienza preliminare.
Il giudizio ordinario era stato scelto dagli altri tre imputati, l’ingegner S.C. coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione dei lavori per conto della società committente Limo-one s.r.l., F.S., capo commessa e coordinatore del cantiere per conto della Fantino Costruzione che aveva in appalto il cantiere e A.K. rappresentante della Edil 2014.
Secondo l’accusa i pannelli che costituivano il càssero erano stati puntellati in modo inadeguato, con asticelle di legno invece che con piombatoi, e a causa del forte vento che quel giorno c’era in valle, caddero proprio mentre passava la vittima che stava lavorando al piano interrato, ma che era salito al piano superiore per prendere dei tondini di ferro.
Per il Pubblico Ministero, ci furono una serie di concause che si verificarono quel giorno e che determinarono la morte dell’operaio ed erano tutte ascrivibili agli imputati, ognuno per quanto di sua competenza, a partire dal modo in cui era stato realizzato il càssero, puntellato con un numero insufficiente di puntelli rispetto alla sua altezza e lunghezza, per di più di materiale inadatto a sostenere quel peso, dato che erano asticelle di legno anziché piombatoi. C’erano però anche responsabilità in materia di sicurezza del cantiere, a partire dalla mancata predisposizione di regole da adottare in caso di vento forte e l’assenza di delimitazioni all’interno di un cantiere complesso dove operavano contemporaneamente ditte diverse.
Una ricostruzione contestata dalle difese che avevano sempre ribadito come l’incidente fosse stato causato da un fatale errore della vittima che si sarebbe spinto in quella zona del cantiere per cercare del materiale che era invece contenuto in un bidone posto vicino alla scala che dal piano interrato conduceva al piano superiore.
Valide però per il giudice le conclusioni dell’accusa in merito alle responsabilità di R.C. che secondo l’accusa solo dopo l’incidente e le prescrizioni dello Spresal avrebbe adeguato il piano di sicurezza relativamente alle condotte da tenere in caso di vento forte e che è stato condannato ad un anno di reclusione, e di A.K. responsabile della ditta che stava costruendo il càssero, condannato ad un anno e sei mesi. Assolto invece F.S., il capo commessa, la cui difesa aveva ribadito la correttezza dell’operato nel definire con gli operai le rispettive zone di lavoro ad inizio lavori, in base a quello che era il documento sulla sicurezza. R.C. e A.K. sono anche stati condannati al risarcimento dei parenti della vittima, moglie, due figli e il genero con i tre nipoti. Il giudice ha disposto il risarcimento da definire in sede civile, con una provvisionale di 50mila euro ciascuno per la moglie e i due figli e di 50mila euro complessivi per il genero e i tre nipoti.