È stata assolta dall’accusa di sequestro di persona ma non da quella di sfruttamento della prostituzione S. F. C., donna di origini brasiliane, denunciata da una giovane connazionale arrivata in Italia nei primi mesi del 2022 e liberata dagli agenti della Squadra Mobile nel mese di giugno, in seguito alla segnalazione del console onorario del Brasile a Venezia con cui la ragazza era riuscita a mettersi in contatto. La ragazza aveva raccontato di essere stata sequestrata in un appartamento di via Schiaparelli e costretta a prostituirsi. Spacciandosi per un cliente, un agente della Squadra Mobile aveva contattato il numero di telefono associato all’annuncio su un sito a luci rosse e a quel numero aveva risposto l’imputata. Nel corso della perquisizione dell’appartamento venne trovato un quaderno su cui erano riportate somme di denaro che per gli inquirenti erano i proventi dello sfruttamento della giovane. L’accusa è sempre stata contestata dalla difesa e dall’imputata stessa, che in aula aveva riferito al giudice di aver accolto la ragazza la quale aveva già provveduto per proprio conto alle fotografie necessarie per l’annuncio sul sito e che lei l’aveva ospitata solo con la prospettiva di dividere le spese dell’appartamento. Per il pubblico ministero però anche questo elemento costituisce per la giurisprudenza un fattore di sfruttamento, perché l’imputata aveva tratto un vantaggio dalla condivisione delle spese, così come costituiva sfruttamento l’aver fatto un prestito alla ragazza per iniziare questa attività a Cuneo e aver preso accordi con i clienti della giovane fissando i prezzi della prestazione. Elementi che secondo la Procura costituivano il reato di sfruttamento così come era stato provato il reato di sequestro perché la giovane venne effettivamente chiusa per alcune ore all’interno dell’appartamento il 25 giugno 2022, e per questo era stata chiesta la condanna a tre anni di reclusione. Per la difesa invece la giovane aveva avuto la possibilità di scappare dalla portafinestra dell’appartamento al piano rialzato che dava sul cortile interno e aveva con sé due cellulari per chiedere aiuto ma non lo fece. Inattendibile quindi il racconto della giovane, che per la difesa si era semplicemente stancata di stare in quell’appartamento ma non del lavoro che faceva. Una ricostruzione parzialmente accolta dal giudice che ha assolto la donna dall’accusa di sequestro e l’ha condannata a due anni e sei mesi per il reato di sfruttamento e favoreggiamento e una multa di mille euro. Nelle prossime settimane la difesa presenterà un programma di lavori di pubblica utilità, pena sostituiva prevista nei casi di condanne inferiori a tre anni.