La storia di Biancaneve, uscita dal mondo delle favole, trova conferma nella vita di oggi. E quanta ragione avevano i fratelli Grimm quando parlavano di mela avvelenata, frutto di sintesi chimica elaborata dalla perfida matrigna! Sul mercato, infatti, la mela spacciata per migliore non è la più sana, ma la più carica di veleno.
Lo dice l’autrice di questo libretto che volentieri si appoggia alla saggezza passata, in dichiarata polemica con gli ammalianti suggerimenti dell’oggi. Non disdegna la definizione di pamphlet e segna così la distanza da un passato che alla natura affidava buona parte dell’alimentazione, dei rimedi medicamentosi, di strumenti e scorciatoie per le attività quotidiane, non ultimo il lavare. E in questo campo è la cenere a fare la differenza.
Sillogismo spicciolo: non c’è stufa senza cenere, né liscivia senza cenere, quindi non si dà liscivia senza stufa. Sono termini desueti. La stufa non è quella che brucia pellet, ma il “putagé” dove si bruciavano ceppi di legno scaldando e cuocendo. E la liscivia meno che mai si imparenta con la rumorosa lavatrice pur se dotata del programma di ammollo.
La cenere “sano frutto della combustione” è l’ingrediente per la liscivia. Può sembrar strano, ma essa ha un potere sbiancante. Veniva posta sopra gli indumenti da lavare, separata da un panno soltanto. Poi si rovesciava l’acqua calda che provvedeva a fare il resto.
La tecnica del lavaggio viene spiegata con semplicità passo a passo, tecnica ecologica ed economica. La cenere è per antonomasia prodotto di scarto, eppure veniva recuperata e diventava prezioso alleato delle massaie. Una filosofia chiara seppur mai esplicitata: ridurre al minimo gli sprechi precorrendo il riuso, inconsapevolmente favorendo la conservazione dell’ambiente (niente prodotti inquinanti), ma avendo ben chiaro l’idea di risparmio. Fare qualcosa significava possederlo, il che è ben diverso dal comprarlo.
C’era una volta la cenere
di Anna Nasci
Editrice Andromeda
euro 18