Le due parole del titolo vanno tenute accuratamente separate onde evitare semplificazioni inopportune e fuorvianti. Sì, perché la vita che affiora tra le righe dei casi giudiziari ricostruiti da Alessandra Demichelis è veramente dura, crudele, a volte beffarda. Non ci porta a contatto con una società omertosa, con organizzazioni violente o altra forma di “malavita” secondo il comune intendere dei nostri giorni.
Sembra quasi che l’aggettivazione che l’accompagna sia una delle sfumature di questa vita, connaturata ad essa per alcune frange della società, capace di segnare un ingrato destino contro cui è difficile lottare.
Pettegolezzi, liti, omicidi, uxoricidi e infanticidi abbondano fra le cronache cuneesi, giudiziarie e giornalistiche, a cavallo tra Otto e Novecento. I quotidiani riservano talvolta una rubrica fissa altre volte ampi spazi, perché come sempre l’argomento attira l’interesse o almeno la curiosità.
Alla fine però la stessa autrice, per evitare sbrigative generalizzazioni, sembra preoccupata di ridefinire con chiarezza le linee prospettiche del suo lavoro. Quello era un mondo che “possedeva tante zone luminose”. Insomma non si confondano le sfumature con il quadro d’insieme. Il particolare è parte ma non determina il generale. Gli esempi di illegalità non comportano la condanna di un’intera società con buona pace dell’inchiesta Casalis-Lissone del 1880.
Crimini e giustizia sono così facce della stessa medaglia e ridimensionano per contro anche la visione idilliaca del “bel tempo antico” restituendogli invece i colori vivaci, sanguigni è il caso di dirlo, del quotidiano.
Ci si lasci dunque guidare dalla penna dell’autrice che nella prima parte racconta, sulla scorta di precisa e ampia documentazione, una dozzina di casi giudiziari. Narrazioni verosimili che prendono vita dagli atti giudiziari oltre che dalle cronache dei quotidiani.
Sempre risultano mosse dalla presunzione di innocenza degli imputati, che viene corroborata o demolita nelle aule del tribunale dalle testimonianze, senza scordare la “perfezione dell’eloquio degli avvocati” capaci di toccare le corde dei sentimenti nei giurati popolari e magari capovolgere un destino.
La simmetria delle forme del Palazzo di Giustizia in piazza Galimberti, descritto di nuovo a fil di cronaca, sembra stridere con la passionalità che muove alcune vicende. Ci sono persone travolte da pensieri, illazioni, pettegolezzi, antichi rancori che nulla hanno a che vedere con l’austera facciata di quell’edificio. Eppure molti varcano quella soglia per finire nel “gabbione”. Sono esponenti e spesso vittime di questa “mala” vita che può anche spiegare, senza per questo giustificare, comportamenti rudi, spesso eccessivi fino alla violenza e all’omicidio.
Questioni di soldi, di “cose”, perché la materialità definiva la condizione sociale, di passioni che non diventano oggetto di feuilleton. Conservano invece quella vivacità propria della vita che incarnano e agitano.
Frazioni e borgate, nota l’autrice, sono piccoli universi autonomi, dove le relazioni sociali si misurano su una morale rigida di impronta religiosa, ma non disposta a mediare e comprendere, più avvezza invece a stroncare con gli esiti che poi affollano i corridoi del Palazzo di Giustizia: “controversie nate da pettegolezzo e sui tavoli le denunce lievitavano”.
Questa varia umanità fatta di poveri diavoli e di grandi avvocati trova convegno nelle pagine di Alessandra Demichelis. Sempre sono osservati e descritti con discrezione, senza forzature interpretative.
La mala vita
Alessandra Demichelis
Graphot
16 euro