Ce n’è veramente per tutti nella riflessione sul clericalismo sviluppata da Domenico Cravero. È una tentazione per il clero, a cui un’interpretazione miope vorrebbe restringerlo, ma è anche un affascinante seduzione per il laicato. Insomma intorno a questa tematica converge un ampio ventaglio di riflessioni che chiamano in causa il senso stesso dell’essere Chiesa e l’atteggiamento personale del singolo credente, laico o consacrato non importa.
La direttrice su cui si muove l’autore prende le mosse dalle motivazioni che sorreggono il clericalismo. Il confronto è col mondo, con il progressivo deteriorarsi della centralità delle relazioni umane a favore di un efficientismo e di un utilitarismo che mette in secondo piano il valore della persona.
In tale contesto si è portati a chiudersi nella ricerca di una soddisfazione individualistica, nel desiderio di un appagamento emotivo che offra serenità o senso di realizzazione senza chiedere troppo. “Se il clericalismo prospera è perché a suo modo risponde a delle attese, calma delle tensioni, rassicura incertezze, semplifica la complessità”, commenta l’autore.
Di qui la scelta di metodo e di contenuto volta a mantenere un costante confronto con il mondo pur avendo come orizzonte la comunità ecclesiale e il suo radicarsi nella fede. Di questo mondo l’autore sottolinea certo la secolarizzazione, ma anche il bisogno inconfessato della dimensione del sacro, la voglia di comunità come “reazione emozionale alla desertificazione delle relazioni umane”.
A fronte di questo mondo complesso e vissuto come ostile, l’atteggiamento caratteristico su cui prospera il clericalismo è la paura, la chiusura nel proprio spazio dove si sono appianate le divergenze, dove il ritualismo sostituisce la fede celebrata con intensità e conseguentemente vissuta.
La tentazione del clericalismo coinvolge anzitutto la figura del sacerdote, a cui Domenico Cravero dedica molte pagine per sottolineare i pericoli cui è esposto, ma anche per rileggerne e valorizzarne l’intima realtà.
Quella tentazione si manifesta principalmente nel difficile equilibrio tra l’essere guida e l’essere al centro, tra l’annuncio della Verità e il suo possesso e utilizzo, tra il “presidiare” il proprio piccolo gregge e l’aprirsi a chi ne è fuori. Si esprime poi in un atteggiamento paternalistico oppure in uno “stile di leadership accentratrice” dove i sacerdoti spesso “amano attorniarsi di laici spettatori” relegati a “ruoli funzionali” che non valorizzano i carismi individuali.
Provocazioni che non risparmiano però neanche il laicato. Di nuovo si manifesta la paura del confronto col mondo: la parrocchia è intesa e vissuta come “luogo caldo” in cui il rafforzarsi del senso di appartenenza va di pari passo con “l’inclinazione alla fuga dal mondo e [al limite] alla visione apocalittica della sua perdizione”.
Lo stesso rifugio nel ritualismo si atteggia a manifestazione di una fede che non è evangelicamente “semplice”, ma soltanto vuota, incapace di provocare una corretta riflessione sul proprio vivere da cristiani.
La parte costruttiva del saggio poggia quindi sul richiamo ad una fede matura che non tema il confronto. È il recuperare il senso vero della sinodalità, dell’effettiva collaborazione tra presbiteri e laici valorizzando i carismi di ambedue.
La ferita del clericalismo
di Domenico Cravero
Editrice Sanpino
euro 15