Viola Saint Gréé – “O la faceva o non la faceva. Non c’era possibilità di ripensamento. La scelta di superare la rampa non tiene conto delle capacità della persona e in caso di ripensamento c’è un rischio maggiore di caduta: l’atleta che non ha le capacità può essere indotto a rallentare per paura”. Secondo il primo dei periti dell’accusa nel processo a carico di F. R. gestore del bikepark dove nell’ottobre 2021 perse la vita A. P. (38enne Vigile del fuoco ligure che cadde mentre eseguiva un salto sulla rampa nel tracciato chiamato del Saltimbanco), quella rampa lui non l’avrebbe approvata. L’accusa contesta al gestore del bikepark di non aver messo in atto tutte le necessarie misure di sicurezza per prevenire eventuali incidenti lungo la discesa dei cinque tracciati di downhill. E fu proprio nel tracciato del Saltimbanco, considerato di media difficoltà, che la vittima urtò violentemente con il torace contro il vertice superiore della rampa di atterraggio. Secondo il perito, direttore di organizzazione gare fuoristrada di enduro e downhill, se ci fosse stata una passerella di collegamento fra la rampa di salto e quella di atterraggio, l’atleta non avrebbe dovuto affrontare quel salto con particolare velocità, e in caso di rallentamento avrebbe potuto comunque eseguire il salto in sicurezza. Della stessa opinione il secondo perito dell’accusa, l’ingegnere chiamato a calcolare la velocità con cui la vittima aveva affrontato il salto rispetto a quella che avrebbe dovuto tenere per completarlo in sicurezza. Secondo il perito la velocità tenuta da A. P. sarebbe stata di 19 km orari, a fronte di una velocità richiesta di 27-28 km orari; “ma sarebbe bastata una rampa di collegamento per lasciare il bello del salto con la certezza per il biker in caso di errore o indecisione”, ha concluso il consulente dell’accusa. Sollecitato dalle domande della difesa, il perito ha confermato che non esiste una normativa tecnica su come devono essere fatti i salti nelle piste di downhill, mentre esistono normative per le piste da cross che prevedono che ogni salto debba poter essere eseguito anche senza bisogno di staccare le ruote da terra. “Il problema nei bikepark è l’ampia fascia di bikers che si pone fra quelli inesperti e quelli esperti: quelli cioè che ci provano anche se non sono in grado di farlo. La valutazione del rischio avrebbe dovuto imporre una rampa di collegamento”, ha concluso il perito. L’udienza è stata rinviata al 22 febbraio per ascoltare i consulenti e i testimoni della difesa.