Come parlare dell’anoressia senza cadere in una sbrigativa e superficiale commiserazione? O atteggiarsi a improvvisato psicologo dalle soluzioni a portata di mano? L’autrice sceglie la strada, singolare per la verità, della narrazione. Trasfigura il drammatico percorso in un racconto per immagini e parole che non si preclude a suggestioni poetiche, ma le tiene a bada perché non edulcorino la realtà. Anzi il racconto di Naïma si sorregge su un sottaciuto realismo che non tracima mai. Assume invece la forma di sottotesto, più da scoprire tra le righe che da leggere con chiarezza.
La leggerezza è il motivo ricorrente. Affiora nei voli di farfalle, nell’aquilone al vento, nel palloncino che si alza. Si disegna in ali d’angelo, in capelli al vento. Lascia che la mente vada, come è ovvio, al peso corporeo che si va estinguendo, ma non lo assume come elemento identificativo. Non è un caso che in nessuna pagina venga esplicitato il disturbo in cui Naïma precipita.
E come la protagonista si trova davanti allo specchio, così il libro assume fin dalla copertina la forma speculare come cifra stilistica. Alle parole fanno eco i disegni della stessa autrice nelle pagine a fronte. Tratti netti, dalla tavolozza ridotta al minimo, con riquadri spesso “bucati” dalle figure o capaci di trasformarsi in finestre da cui guardare: luoghi quasi simbolo di una libertà ansiosamente ricercata, vista eppure sempre al di là.
Ogni pagina è introdotta da una domanda che non attende risposte, ma apre un nuovo passo nel cammino di Naïma. La seguiamo nella discesa verso il nulla da quando “si forma la prima crepa”. Prende a confondere il peso dell’anima con quello del corpo, poi non si sente pronta a crescere e tende a nascondersi in una realtà idealizzata. Si ritrova sola tagliando i ponti con gli altri. Su di loro si posa uno sguardo che rimbalza specularmente su di lei facendole sentire la propria inadeguatezza. Allora le parole quasi si fanno da parte e il disegno esprime questo dolore: l’ombrello degli adulti che li ripara, mentre per lei c’è solo un cappuccio con un sole dipinto.
È l’illusione che muove i passi di Naïma. Si veste di libertà, quando il suo corpo è stretto in misteriose catene. Anche quando ci sono squarci di vero e consapevole desiderio di libertà, come il foglio dimenticato e accartocciato che prende forma di un aereo e vola, lei china il capo e si chiede se ci sarà mai qualcuno che la noterà e sarà “pronto a insegnarle come si vola”.
Eppure solitudine, illusione, confusione non sono le ultime parole. Ancora una volta l’autrice non si dilunga in parole. Ancora sembra che la svolta scaturisca improvvisa, quasi inspiegabile ancorché liberatoria. Come la caduta era visualizzata nella scala in discesa, nella finestra da cui guardar vivere il mondo, così ora la rinascita è nell’aquilone che vola libero, è nella mela, prima attaccata al ramo dietro un muro che non riusciva a superare e ora è finalmente raccolta, è nell’arco con cui si presenta forte davanti allo specchio, oggetto prima temuto.
Quando sente le farfalle agitarsi non più nello stomaco, ma nel cuore, allora può finalmente aprire le tende che oscuravano la finestra, respirare a pieni polmoni, girare la maniglia di una porta dietro cui un fiume di luce taglia la stanza fino a lei.
Non un cammino terapeutico, ma esperienza intima in cerca di comunicazione. E anche questo cercare la condivisione non può che essere un ulteriore passo per Naïma verso la vita.
Troppo leggera per volare
Annadamari Fracchia
Primalpe
14 euro