Carrù – Un fronte comune per ottenere un aiuto, per contrastare le difficoltà di mercato attraverso la tutela del prodotto e della sua qualità in un canale ormai fortissimo, a vantaggio di tutta la filiera, a partire da chi alleva: il mondo della razza bovina Piemontese si è riunito nella mattinata di oggi (venerdì 20 ottobre) a Carrù, nella “Casa della Piemontese” all’Anaborapi (Associazione nazionale allevatori razza bovina Piemontese), su iniziativa di Anaborapi, Coalvi e Coldiretti, per incontrare i parlamentari piemontesi (presenti in nove all’appuntamento, di cui otto dei partiti di maggioranza). Al centro dell’incontro, la proposta di disegno di legge per portare anche nel canale horeca (ristorazione, mense, catering) l’etichettatura obbligatoria che già vale per le macellerie e la grande distribuzione. Indicare Paese di nascita, allevamento e macellazione del capo, oltre alla sua razza, proprio per “mettere in etichetta” la Piemontese e permettere di scegliere la sua qualità.
L’obiettivo è quello di promuovere e valorizzare questa carne, far crescere la domanda, in modo che il mercato ritrovi un andamento positivo, per tradursi in migliori ritorni economici per chi alleva. Richiesta di mercato che di fatto c’è, ma è oggetto di “assalti” tra il bizzarro e l’illegale: da un capo all’altro del Bel Paese si può trovare nei menù di molti ristoranti il “fassone” declinato in vari modi, ma gli allevatori e il consorzio di tutela sanno bene dove viene distribuita la loro carne. E le due cartine geografiche sovrapposte certo non coincidono…
Ecco allora che ai rappresentanti nelle sedi romane è stato chiesto di difendere gli interessi del Piemonte in uno dei suoi prodotti d’eccellenza, la carne bovina Piemontese, la razza autoctona più numerosa in Italia, allevata da oltre 4.000 aziende con 300.000 capi, di cui la metà fattrici. Un allevamento in forte sofferenza negli ultimi anni, con una crisi che ha portato alla chiusura e al ridimensionamento di molte stalle, per costi aumentati nell’ordine del 60 e del 90%, a fronte di quotazioni salite appena tra il 12 e il 20%.
Lo strumento suggerito (e chiesto a gran forza, in tutti gli interventi dei referenti del mondo allevatoriale e agricolo) è quello del disegno di legge, per rendere obbligatoria l’etichettatura arrivando fino al ristorante (oggi, di fatto, considerato come un qualunque acquirente in macelleria, non come un passaggio successivo prima del consumo effettivo). Un’esigenza sempre più rilevante, vista la crescita del “fuori casa” (ormai dal 50% al 70% dei pasti, secondo le varie stime), ma difficilissima da affrontare, vista anche – è stato ammesso – la forza della “lobby della ristorazione”, a fronte di quelli degli allevatori. E poi, i passaggi andranno gestiti con attenzione, a partire dal coinvolgimento diretto del governo, in modo da non incontrare problemi ai vari livelli istituzionali – compresi quelli comunitari – e non vanificare sforzi di cui, oggi più che mai (“è peggio dei tempi di mucca pazza!”, è stato detto) gli allevatori hanno bisogno.