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Venerdì 22 novembre 2024

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Crollo del viadotto di Fossano, poca boiacca e poca manutenzione

Prosegue il processo che vede imputate dodici persone tra responsabili e operai di Anas e delle ditte appaltatrici

La Guida - Crollo del viadotto di Fossano, poca boiacca e poca manutenzione

Fossano – È stata sicuramente la mancanza di boiacca, la pasta cementizia che avvolgeva i cavi di tiraggio delle sei campate del viadotto di Fossano, a provocarne il crollo nell’aprile 2017. Boiacca completamente assente per circa un terzo della lunghezza del viadotto, aveva riferito l’ingegner Luca Giordano, consulente del pubblico ministero al processo che vede imputate dodici persone tra responsabili e operai delle ditte appaltatrici per costruzione e manutenzione del viadotto e dipendenti Anas incaricati del controllo. A contatto con acqua e aria che infiltravano proprio dagli sfiati realizzati per le iniezioni di boiacca nelle guaine, i cavi si sono lentamente corrosi fino al cedimento. Una conclusione condivisa anche dal professor Roberto Doglione (Politecnico di Torino), che nell’ultima udienza ha parlato di “innesco di fessurazioni che si sono propagate nei tiranti in presenza di acqua e ossigeno come agenti corrosivi. I fili si sono rotti uno a uno man mano che le fessurazioni avanzavano e i cavi ancora resistenti hanno sopportato carichi crescenti”. Per il docente del Politecnico però non solo la boiacca era completamente assente in alcuni punti ma in altri casi era anche troppo porosa, cioè troppo ricca di acqua: “Quando il materiale cementizio reagisce passando dallo stato fluido a quello solido, ci sono reazioni che comportano la formazione di tanti piccoli vuoti. Più acqua c’è, più i vuoti crescono”. Per il docente del Politecnico, questo comporta che anche una boiacca visivamente a posto può essere soggetta a questo lento fenomeno dei corrosione. “Se l’infiltrazione con la boiacca fosse stata adeguata non ci sarebbe stata possibilità di ingresso di acqua, ma è difficile sapere che cosa succeda all’interno finché non si tirano fuori i tiranti. Da fuori non si può vedere nulla e nessuna tecnica per verificare l’ammaloramento è completamente affidabile”. Anche sul periodo di corrosione il professore non si è espresso in modo definitivo ipotizzando un arco di tempo di undici anni, una considerazione che però lui stesso ha definito non razionalmente fondata. Sulla verificabilità dello stato di corrosione dei tiranti non ha invece concordato l’ingegnere Gianpaolo Rosati, il terzo esperto consulente della Procura, il quale ha riferito che colature e infiorescenze erano un segnale che avrebbe dovuto far scattare accertamenti più approfonditi, inizialmente anche poco invasivi come la tomografia: “Colatura o infiorescenza non dovrebbero esserci e questo genere di difetti è riscontrabile dal cantoniere al geometra, dal capotronco all’ingegnere”. Per l’esperto, già consulente del Gip nell’inchiesta sul ponte Morandi, per una struttura il cui periodo di vita è definito di 50 anni, “i cicli di manutenzione sono fondamentali affinché questa possa considerarsi sicura per tutto questo tempo. Nel momento in cui i cicli di manutenzione vengono meno la struttura è potenzialmente insicura”. L’ingegnere ha inoltre detto che, nel momento in cui si scopre una zona che ha assenza di boiacca, occorre prendere decisioni drastiche: “Il sistema di precompressione funziona solo se tutto il cavo è protetto e l’aderenza ripristinata, altrimenti non è la precompressione considerata nel progetto”. Il 5 dicembre l’udienza proseguirà con i primi consulenti nominati dalle difese.

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